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Teneramente folle – Maya Forbes

cover1300«Eravamo felici. So che c’è altro da raccontare. C’è sempre». E’ la voce di una bambina ad aprire il film, a raccontare con un certo ingenuo distacco proprio soltanto dell’infanzia, la vita della sua famiglia in una Boston di fine anni settanta, dove, solo come allora, giovani e vecchi, automobili e fiori erano di vivacissimi sgargianti rossi, gialli e blu.

La storia è quella di un padre affetto da disturbo bipolare, Cameron Stuart (Mark Ruffalo), e delle difficoltà relazionali, economiche e sessuali, che questo disturbo porta all’interno del nucleo famigliare, composto da una mamma nera, Maggie (Zoe Saldana), e da due giovanissime figlie. Quel “altro da raccontare” non è tanto, come parrebbe a una prima lettura, il rapporto inevitabilmente difficoltoso tra papà e figlie o tra papà e mamma, quanto tra la famiglia, tutta, e la società. I momenti di tensione emergono maggiormente quando lo spazio privato famigliare viene a contatto con quello pubblico, che tollera con difficoltà un sistema matriarcale in cui l’uomo, costretto a casa dalla malattia, si occupa di accudire le figlie, di far da mangiare e di cucire le gonne per le recite, mentre la donna è lontana per cercare lavoro; un sistema quindi in cui vengono ribaltati i tradizionali ruoli uomo/donna, una famiglia in cui, insomma, l’uomo fa la moglie e la donna il marito. Ecco che allora il bipolarismo pare quasi essere un pretesto per riflettere in realtà sul binomio moglie/marito in una società americana in piena rivoluzione culturale, ma di fatto ancorata a una concezione della famiglia da classico film hollywoodiano.

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Questa visione stereotipata si riflette bene, infatti, in chiunque abbia a che fare con gli Stuart: dai genitori di Cameron («Sei un uomo, perché dovresti occuparti delle bambine?») alle vicine, sposate e non («Molti uomini si sentirebbero castrati se fosse la donna a mantenere la famiglia»), passando per i direttori delle aziende che rifiutano di assumere Maggie in quanto donna, giovane, madre e nera.

Lo spazio privato del piccolo appartamento in cui vivono i protagonisti invece, seppur disordinato, colmo di oggetti perlopiù vecchi e inutili, e sommerso costantemente da urla e chiasso, è comunque un ambiente per l’appunto “felice” agli occhi delle due bambine, grazie anche al loro equilibrio e alla loro maturità, che compensano il caos ‒ mentale e materiale ‒ del padre.teneramente-folle-saldana

Ed è proprio nel mondo dei bambini, in effetti, che Cameron sembra trovare la dimensione a lui più congeniale: gli unici ospiti che entrano in casa Stuart sono infatti i giovani amici delle figlie che rimangono sorprendentemente affascinati dagli strani oggetti e dai giochi che popolano le stanze colorate, e assaporano, quasi con un pizzico di invidia, il tè e il pane alla cannella preparati dal padrone di casa.

Il finale, carico di poesia, ci riporta allo sguardo delle bambine, chiudendo così il cerchio, restituendoci gli sguardi lucidi di un padre e dei suoi figli, commossi semplicemente dal loro affetto reciproco e dal loro “essere felici”.

Carolina Zimara

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