Black coal, thin ice (carbone nero, ghiaccio sottile) è il titolo internazionale del film del regista cinese Yi Nan Diao, adatto a questo rinnovato film noir che mantiene, seppur riadattandoli all’odierna Cina settentrionale, gli elementi classici del genere: il detective disilluso antieroe, la femme fatale vittima e/o carnefice, il paesaggio metropolitano e cupo. E proprio il carbone ed il ghiaccio convivono nel film in una sorta di ossimoro e accompagnano lo spettatore nel cuore di una storia di crimini e desolazione, con personaggi fortemente caratterizzati spinti al limite dalle loro vicende di vita.
I fatti narrati hanno inizio nell’estate del 1999, quando la polizia è chiamata ad indagare su alcuni resti umani rinvenuti in diverse fabbriche di carbone della provincia. Durante la cattura di due sospettati, alcuni agenti restano uccisi e il sergente Zhang (Liao Fan, vincitore dell’Orso d’argento alla Berlinale 2014 come miglior attore) ferito. Il tunnel percorso in auto, dopo la degenza in ospedale, è una sorta di galleria “spazio temporale” che proietta direttamente storia e protagonista nell’inverno del 2004. Le ambientazioni glaciali, cupe e silenti sono in armonia con l’ormai ex poliziotto Zhang, ora guardia di sicurezza dedita all’alcool, uomo fallito e senza più scopi. La sua ancora di salvezza sarà riprendere con un ex collega le indagini attorno a quel vecchio caso di omicidi irrisolto, adesso che l’assassino sembra tornato in azione. Le ricerche lo condurranno a Wu Zhizhen (Gwei Lun Mei) la quale sarà non solo la chiave di volta per la risoluzione del caso ma anche per la rinascita di Zhang che potrà finalmente riscattarsi.
Le tinte scure del carbone e delle numerose scene notturne si alternano alle chiare, fredde e distaccate immagini in cui predomina il ghiaccio. A spezzare la linea di tensione che corre lungo il film (Orso d’oro a Berlino nel 2014) intervengono alcuni momenti che vanno dal “pulp” ad una comicità fine a se stessa, che strappa indecisi e stupiti sorrisi, (come la caduta sul ghiaccio del poliziotto durante un inseguimento o il suo ballo sfrenato a ritmo di musica pop cinese) fino ad un finale letteralmente “scoppiettante”. Diao col suo lavoro richiama alla mente registi come Tarantino, Fincher, Lynch, i fratelli Coen ma crea comunque un prodotto originale, moderno, intrigante seppur in alcuni momenti un po’ lento. L’uso sapiente delle luci ma anche dei silenzi, della musica e dei suoni (come nella scena in cui i due protagonisti pattinano ipnoticamente in cerchio sulle note di un valzer viennese circondati da una calda luce gialla, scandita dal rumore tagliente delle lame dei pattini) rende lo stile del lungometraggio curato ed elegante, carico di atmosfere attraenti e alienanti. La desolante periferia contemporanea di una metropoli cinese, con i suoi mezzi di trasporto carichi di persone, i suoi colorati e un po’ squallidi saloni di bellezza e locali notturni, è funzionale e fa da cornice perfetta ad una storia realistica, specchio del degrado in cui può cadere l’umanità.
di Loredana Iannizzi