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The lobster – Yorgos Lanthimos

rachel-weisz-in-the-lobster-poster_jpg_1003x0_crop_q85The lobster ci presenta un futuro prossimo nel quale non si ha più il diritto di essere single, pena la “reincarnazione” obbligata in un animale a scelta. Scapoli e zitelle, vedove e vedovi vengono così trasportati in un hotel, all’interno del quale, con l’aiuto di alcuni strampalati riti comunitari, dovranno trovare la loro anima gemella, entro un numero limitato di giorni; tra le varie attività c’è, in particolare, quella di cacciare i “solitari”, coloro che, nascosti nei boschi, resistono clandestinamente alla dittatura delle coppie.

Il film segue le vicende di David (Colin Farrell), ultra quarantenne vedovo, che inizialmente accetta la routine forzata dell’albergo, con le sue assurde regole, ma che in seguito entrerà in relazione con i solitari. The lobster risulta così sostanzialmente diviso in due parti, tra loro speculari, che mettono in mostra entrambe gli eccessi dei due gruppi sociali: da un lato gli “ospiti” dell’hotel, a cui è proibita la masturbazione, l’uso di uno degli arti superiori e che rischiano di terminare la loro esistenza umana nella temibile “stanza delle trasformazioni”; dall’altro il gruppo resistente dei solitari, che, per fronteggiare la situazione di pericolo, si è dotato di una serie di regole altrettanto ferree, che proibiscono qualsiasi tipo di relazione affettiva o sessuale.

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Yorgos Lanthimos – una delle voci più interessanti dell’attuale panorama cinematografico – tesse insieme un bizzarro script distopico e un’acuta analisi delle relazioni di coppia. Non è difficile vedere, in quell’albergo dal sapore buňueliano, l’accentuazione parossistica di una componente, quella del rifiuto socio-politico della solitudine, oggi onestamente innegabile.

Sul filo del film a tesi, Lanthimos ne fugge tuttavia la rigidità con una sceneggiatura a fuoco e un’eccellente regia: efficace senso per l’inquadratura, estetismo controllato, utilizzo cacofonico e insieme armonico delle musiche si mischiano qui con indubbia eleganza. È come se le rassicuranti simmetrie pastello di Wes Anderson si aprissero verso un’estrema violenza espressiva, lasciando emergere uno scheletro simmetrico e rettangolare, nel quale i personaggi, immobili e inespressivi, ricevono un’insospettata profondità. the-lobster-movie-trailer-images-stills-transformation-roomLanthimos gioca sul confine tra grottesco e melodrammatico, mescolando i registri: emblematico è il voice over, che coincide con la voce di una protagonista del racconto (Rachel Weisz) e, insieme, con quella di un narratore onnisciente, che legge dentro ogni sguardo di David.

Impressionante risulta infine l’abilità con cui il regista greco riesce a dirigere un cast hollywoodiano (oltre a Farrell e Weisz, anche John C. Reilly, Lea Seydoux e Ben Whishaw), che, insieme ad alcune attrici-feticcio di Lanthimos ‒ Ariane Labed (Alps) e Angeliki Papoulia (Kynodontas) ‒ restituisce il volto di un’umanità pietrificata e immobile. Com’è ovvio, l’amore, calpestato o espulso, riemergerà con forza: sotto la scorza del grottesco, The lobster, con il suo splendido finale, vira all’insegna di un sottile romanticismo meravigliosamente contemporaneo.

di Giulio Piatti

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