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Le ricette della signora Toku – Naomi Kawase

cover1300 (1)Sentaro gestisce con poco successo un chiosco nella periferia di Tokio dove prepara, controvoglia, focaccine dorayaki (dolci tipici giapponesi, simili ai pancakes). La passione per il suo lavoro Sentaro l’ha persa da tempo (o forse non l’ha mai avuta), ma è costretto in quel locale piccolo e vuoto per ripagare un debito a vita. È un uomo schivo, che ci viene mostrato perlopiù con la divisa da cuoco (grembiule bianco legato in vita, fazzoletto bianco legato in testa), che trascorre il suo tempo tra casa e lavoro. Seppur, fin dalle prime scene, egli emani un alone di tristezza accompagnato da un senso di rassegnazione (non lo vediamo mai ridere), i suoi gesti sono precisi e meticolosi, segno che, nonostante tutto, mette una certa cura in ciò che fa. Casualmente, alla porta del chiosco, arriva un giorno la signora Toku, in cerca di lavoro come aiuto cuoco. E’ una vecchina un po’ curva, con dei grandi occhiali rosa e con le mani sfigurate da una vecchia malattia, che l’ha tenuta lontana dalla gente per tutta la vita. La specialità della donna è la ricetta della “pasta di fagioli dolce” (in giapponese An, che è anche il titolo originale del film), che insegnerà con passione a Sentaro e che, abbinata ai dorayaki, risolleverà le sorti del piccolo locale.

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Proprio la preparazione della ricetta di questa particolare marmellata di fagioli rossi occupa una lunga sequenza centrale della pellicola. Sentaro e la signora Toku svolgono assieme tutte le fasi di preparazione (bollire l’acqua, scolare e mescolare i fagioli) tanto che le mani quasi s’intrecciano le une con le altre, sfumando i confini dei corpi. Ogni azione viene espansa nel tempo, che sembra non essere più un tempo reale ma quasi eterno, dilatato nella lenta contemplazione degli ali(ele)menti: l’acqua che gocciola dal lavandino, l’acqua limpida che bolle nella pentola, l’acqua ormai rossastra dai fagioli mossa dal cucchiaio. 11-An-Copyright-2015-AN-FILM-PARTNERS-COMME-DES-CINEMASTWENTY-TWENTY-VISION-ZDFAccanto all’acqua, anche altri elementi ritornano spesso e con evidenza nel film suggerendoci, anche in questo caso, la via della contemplazione: il vento che accarezza i ciliegi in fiore del grande viale antistante al chiosco, la luce accecante che entra dalle finestre del locale ogniqualvolta la signora Toku solleva le veneziane. Ed è proprio, forse, nella contemplazione della natura e nel suo scorrere inesorabile (vediamo il susseguirsi delle stagioni nei cambiamenti degli alberi) che i protagonisti si rifugiano dai loro passati (e, inevitabilmente, presenti) dolorosi e solitari.

Tratto da una celebre opera letteraria giapponese, il film di Naomi Kawase, scelto per aprire la sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2015, ci parla in definitiva, servendosi anche di un parallelismo metaforico con gli elementi naturali, dello scorrere della vita umana e di come, inaspettatamente, il riscatto da un passato poco felice può e deve avvenire per chiunque.

di Carolina Zimara

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