Una natura immobile e avvolgente, un ambiente quasi senza tempo e senza storia, accompagnano con la loro lenta dolcezza questo racconto candido e delicato. Tre sorelle ventenni, Sachi, Yoshino e Chika vivono nella vecchia casa di famiglia, uniche custodi d’un tempo ormai concluso nel quale la loro vita trascorreva felice assieme ai loro genitori, separati da ben quindici anni. La rassicurante tranquillità a cui si sono abituate viene di colpo nuovamente sconvolta quando vengono a sapere della morte di quel padre che da tanto non vedono e che nel frattempo si è costruito una nuova famiglia. La ferita a fatica rimarginata si riapre quindi improvvisamente per le tre ragazze, recatesi al funerale di quella persona che sentivano ormai lontana e assente.
Questa occasione, che apparentemente potrebbe riservare solo dolore e tristezza, si risolve in realtà in un incontro destinato a cambiare completamente l’esistenza di queste tre sorelle, giovani e belle ma dallo spirito e dalla vitalità già smorzati dalla staticità e dalla calma noiosa della loro quotidianità; la conoscenza di Suzu, la loro sorellastra di tredici anni, nata dal secondo matrimonio del padre, le porta infatti a considerare la possibilità di un nuovo modo di rapportarsi alla vita. Nei suoi occhi vivaci sembrano scorgere e godere dell’entusiasmo che hanno perduto, rivivendo con lei le gioie e lo stupore del mondo. Della pellicola colpisce prima di tutto l’efficacia interpretativa delle attrici e la loro bellezza, soprattutto quella della piccola Suzu: uno sguardo e un corpo che parlano direttamente all’anima dello spettatore, in una per niente esagerata operazione di esaltazione della fisicità adolescenziale, adeguatamente sottolineata dai colori tenui e delicati della fotografia. Il secondo elemento da sottolineare si ritrova invece nella capacità del film di rappresentare un tema che potrebbe apparire decisamente sfuggente ed indeterminato come quello della cura, di sé ma soprattutto degli altri; la vividezza con cui traspare questo costante e amorevole accudimento reciproco, fatto di piccoli gesti e di momenti d’intimità dove sguardi e silenzi traboccano di affetto e comprensione, restituisce un’atmosfera piacevolmente malinconica, nella quale il significato della famiglia viene man mano ricostituendosi, in un andamento narrativo dolce e leggero come quello delle stagioni che vediamo succedersi, morbide, tra una risata, una preghiera ed un nuovo esperimento culinario.
di Enrico Zimara