In nome di mia figlia mette in scena il dramma reale di una storia vera: vera in tutta la sua disperazione e crudeltà. E’ una pellicola in grado di suscitare mille emozioni, forse perché tanto vicina all’esperienza umana ed ingiusta del personaggio chiave: un padre che smuove mari e monti, pur di scoprire la verità e ridare luce al ricordo della figlia scomparsa.
La versione cinematografica di Vincent Garenq é, per volontà del regista, aderente alla cronaca giudiziaria e al personale calvario di André Bamberski, un padre che per trent’anni ha lottato affinché fosse assicurato alla giustizia l’uomo che aveva, abusato prima ed ucciso poi, la figlia 14enne, Kalinka.
Immaginate di affidare i vostri figli, alle cure del nuovo compagno della vostra ex moglie e di non rivedere mai più la primogenita. Sapendo, con una telefonata sterile, della susa scomparsa. Una scomparsa che non riuscite ad accettare, perché immersa in un turbinio di fatti e situazioni poco chiare. Cosa fareste?
André Bamberski, contabile francese, agì e parlò in nome di sua figlia e lo fece contro Dieter Krombach, cardiologo tedesco; che bene conosceva sua figlia, perché l’aveva vista crescere. Le indagini, partite in Germania nel luglio 1982, restituirono più dubbi che certezze e lui cercò di attenersi alle vie legali per rendere giustizia alla figlia, vittima di quello che, si verrà in seguito a scoprire, è uno stupratore seriale. Tra il dolore insormontabile della perdita da gestire emotivamente, la rabbia, il delicato rapporto con il figlio secondogenito, le svariate cause intentate, i mandati di cattura internazionali e le dichiarazioni rilasciate alle autorità, il padre della vittima continuerà la sua personale battaglia a un prezzo altissimo, e lo farà da solo nonostante l’iniziale appoggio di una compagna ma, paradossalmente, nella completa negazione dell’ex moglie; figura emblematica per la sua completa estraneità ai fatti. Una donna alla quale non sembra importi dell’accaduto, plagiata dal suo compagno, incapace di riconoscere la verità dall’evidenza dei referti medici e dell’autopsia; restando sorda di fronte alle testimonianze di altre ragazze stuprate.
Garenq fa partire il racconto con un flashback, allo scopo di rendere la vicenda fruibile cinematograficamente parlando, presentando la vita di una famiglia francese che vive in Marocco, per poi inserire i personaggi in una narrazione in grado di accompagnare passo passo lo spettatore, senza anticipazioni o giudizi. Il film inizia con l’arresto del personaggio principale e già dalle prime sue battute, si indovina l’assurdo fil rouge che caratterizzerà l’intero svolgersi della vicenda. Passato e presente si mischiano con una fluidità tale da rendere la pellicola scorrevole. La trama restituisce l’intera storia in maniera chiara e didascalica. All’epoca dei fatti, la vicenda ebbe una grande risonanza mediatica che traspare da metà film in poi. Da spettatori, non si può che restare inorriditi davanti alla totale cecità delle autorità francesi, tedesche ed austriache e dal viscerale coinvolgimento di Bamberski; il quale plasmò la sua vita in funzione della disperata volontà di chiudere i conti con un amaro passato, che aveva sconvolto tutto il suo mondo. Spinto allo stremo, l’unico spiraglio di luce che vedrà sarà quello di assoldare delle persone per prelevare ed estradare Dieter Krombach.
di Eleonora Bonadé