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American Pastoral – Ewan McGregor

Nel suo esordio alla regia, Ewan McGregor sceglie di confrontarsi con uno dei importanti romanzi della narrativa americana recente, Pastorale Americana di Philip Roth.  Ambientata negli anni ’60 e raccontata, ex post, da un amico del protagonista, la vicenda si anima sullo sfondo di un periodo di grande vitalità della storia americana, tesa tra la spinta economica del dopoguerra e i primi movimenti politici di rivolta. Qui l’ebreo Seymour Levov, detto lo “svedese” (interpretato dallo stesso McGregor) sembra avere davanti a sé una vita già scritta: bello, atletico, popolare e futuro proprietario di un’azienda di guanti, egli sposerà la splendida e cattolica Dawn (Jennifer Connelly), ex miss New Jersey, da cui avrà una figlia, Merry (Dakota Fanning), con qualche problema di balbuzie. Sarà proprio l’ambigua relazione con la figlia, sempre più invischiata in proteste, anche violente, contro la guerra in Vietnam, a trasformare radicalmente la vita della perfetta famiglia di Newark.

Nel confrontarsi con la materia letteraria, McGregor sceglie la strada della fedeltà, attenendosi a un sobrio rispetto: la voce del narratore cita interi passi dal romanzo, così come i dialoghi rispettano integralmente la parabola descritta da Roth. Una regia di stampo classico stempera poi gli elementi maggiormente melodrammatici di una storia che affonda irrimediabilmente verso la disperazione: la disgregazione della famiglia, raccontata spesso con un registro da film giallo, fa così da specchio a una società americana divisa e in piena evoluzione, desiderosa di modernità e al tempo stesso aggrappata ai valori di un tempo (la vita in campagna, la famiglia, la realizzazione personale). La crisi generazionale diviene così acuta dissezione di un sogno americano che sembra ormai sempre più irraggiungibile.

Come spesso accade, l’ostinata fedeltà al romanzo non sembra portare linfa vitale al film, che si esaurisce spesso in una didascalica esposizioni di temi che il romanzo affronta con una più ambigua raffinatezza: i passaggi dal passato al presente (e da una storia all’altra), così come l’approfondimento psicologico dei personaggi risultano così semplificati al fine di ottenerne una maggiore intellegibilità. Ne risulta, come conseguenza, una certa prevedibilità degli eventi narrati.

Nonostante ciò, American Pastoral ha il pregio di portare sullo schermo, con un cast di livello e una buona fotografia, una vicenda esemplare, che con un velenoso anti-epos, passa contropelo il mito americano, mettendone in evidenza le zone d’ombra. Nel prologo come nel finale, dove torna, circolarmente, la voce del narratore, il film dismette i panni del semplice adattamento, raggiungendo, con uno sguardo originale, il tono amaro di un passato – familiare, ma anche epocale – che non tornerà più.

di Giulio Piatti

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