Tutto inizia nel nero e l’aggressione diurna viene vista attraverso lo sguardo serafico di un gatto. Già dalla scena iniziale possiamo intuire che non vedremo un film tradizionale. La violenza sessuale, pur svolgendo la funzione di motore dell’intero racconto, è all’inizio confinata al di fuori dello spazio (il fuori campo sul gatto) e del tempo filmici (lo stupro è appena stato portato a termine) ma poi sarà ricordata e rivissuta più volte, con la fantasia che a un certo punto arriverà a contaminare la memoria, permettendo alla donna di modificarne le dinamiche. Michèle LeBlanc, manager di una società che produce videogame, non denuncerà lo stupro ma continuerà la sua vita come prima e la realizzazione in campo professionale di un nuovo gioco iperrealistico e iperviolento pervaderà lil suo mondo privato. La violenza subita in carne e ossa, per Michèle, trova un contraltare nella violenza di quelle creature mostruose e tentacolari che si avventano sulle principesse del videogioco, provocando loro gemiti voluttuosi in una spiazzante compenetrazione fra Eros e Thanatos. Il personaggio interpretato dalla meravigliosa Isabelle Huppert (Premio Oscar 2017) è così complesso e difficile che moltre attrice americane lo hanno rifiutato e forse solo lei poteva dargli volto. La sua perfezione si manifesta anche con la sola espressione del viso, mai sopra le righe, una donna apparentemete algida ma che in realtà è malvagia. Un personaggio astratto e concreto insieme, una dominatrice, una vittima che diventa carnefice, posseduta da fantasmi e capace di possederli a sua volta.
Dopo dieci anni, adattando il romanzo francese Oh…, Verhoeven torna al cinema con questo film francese per-turbante che segue la strada noir del raffinato Chabrol in una cornice borghese disegnata con tagliente ironia e che esplora la sessualità, il sadomasochismo, la bisessualità, la religione, l’amore e la repulsione. Giocando ripetutamente al delitto si può perdere il senso della gravità, di cosa comporti infierire su dei corpi, fisicamente o psicologicamente.
Un’opera amorale che lascia allo spettatore la possibilità di esprimere un giudizio secondo la propria moralità. Quello rappresentato è un mondo artistico perduto, di letterati disoccupati che si rimodellano nella vacuità del videogioco oggi protagonista assoluto. “Siamo tutti psicotici” dichiara il regista e forse l’oscurità è in ognuno di noi. Il personaggio della Huppert, sul cui sguardo il film è imperniato, è infatti l’assassino della normalità, che nel quotidiano sembra mantenere la lucidità per non sprofondare nella psicosi evidente della società che definirà come mostro. Elle mostra la fredda vendetta dell’angelo sterminatore contro quegli uomini portatori sani di violenza immorale ma è anche il racconto di una donna problematica, testimone di un padre serial killer, acida con ogni parente, tragica personificazione di un peccato originale dal quale sembra impossibile sottrarsi.
Di Alexine Dayné