Il rosso è un colore ambiguo, simbolo, tradizionalmente, di un paradossale connubio di elementi: passionale amore e sanguinosa morte. Non a caso i palloncini lanciati nel corso delle manifestazioni di protesta dal gruppo Act up-Paris sono colmi di densa vernice vermiglia che imbratta massicciamente i bianchi fogli delle istituzioni e dei laboratori farmaceutici, egualmente indifferenti, nella Parigi degli anni novanta, alle esigenze e ai bisogni dei malati di Aids. Basato su fatti realmente accaduti, 120 battiti al minuto ci racconta di questi attivisti, di Sean, Nathan, Sophie, Gérémie, ragazzi e ragazze (molto) giovani, sieropositivi, perlopiù omosessuali, che ogni martedì, dopo le 19, su modello dell’antecedente Act up statunitense, si riuniscono per discutere, confrontarsi e sostenersi, ma soprattutto per pianificare le azioni creative da attuare per rendere pubblico in Francia il problema del Sida (Aids in francese), al tempo pressoché ignorato dal governo Mitterand perché appannaggio quasi esclusivo di gay, prostitute e immigrati.
Eros e Thanatos dunque s’intrecciano inestricabilmente lungo tutto questo film tinteggiato dal rosso della protesta e dal blu delle luci psichedeliche dei locali dove i ragazzi, dopo le riunioni, vanno a ballare, sfogando la loro pulsione di vita. Seppur la morte sia una presenza costante (quasi percettibilmente viva) nelle giornate dei malati, i protagonisti sono energici, colorati, belli (di quella bellezza propria della giovinezza), appassionati, attivi (“Non vi confondete: non siamo un gruppo di supporto ai malati, ma un gruppo di attivisti!”). Nella penombra di una camera da letto, dopo una serata in discoteca, anche il desiderio sessuale e il piacere si configurano qui come atto di estrema congiunzione con la vita, con i brandelli di vita ancora a disposizione, per sentirsi vivi, per restare vivi. Il virus, regista dell’esistenza dei malati, è esso stesso metafora dello scontro tra amore e morte: contratto spesso proprio nell’atto sessuale, genera morte a seguito di questo contatto.
Gran Prix a Cannes 2017 e candidato per la Francia come Miglior Film Straniero agli Oscar, il film ha non solo il pregio di mostrare una pagina forse ancora poco conosciuta della storia francese, ma anche e soprattutto quello di documentare fatti reali coniugandoli a temi ancestrali obbligandoci, a partire dalle vicende dei personaggi, a porci delle domande sul significato dell’esistenza e forse anche sulla responsabilità morale ed etica di ognuno nei confronti delle esistenze degli altri.
di Carolina Zimara