Anni cinquanta, in un piccolo paese nel sud della Francia vive, assieme alla famiglia, Gabrielle Rabascal (Marion Cotillard). Ragazza inquieta e sconveniente, Gabrielle fatica ad accettare le regole imposte dalla società sul comportamento consono per una giovane fanciulla in età da marito e alterna così moti di disperazione a moti di ribellione, esponendo il suo corpo nudo alla finestra o cercando di ferirlo con delle forbici. Quando finalmente i genitori la danno in sposa a José, onesto e garbato contadino di origine spagnola, sembra che il tormento di Gabrielle si quieti finché, malata di calcoli renali (il cosiddetto mal di pietre che dà il titolo al film), non è costretta ad una lunga degenza in una clinica sulle alpi, lontana dal mare e lontana dal marito. Qui incontrerà André Sauvage (Louis Garrel), seducente ufficiale che ha combattuto in Indocina, gravemente malato, e se ne innamorerà.
Quello che fa la pellicola Mal di pietre è innanzitutto mettere in scena le diverse tipologie di quella combinazione di sentimenti e percezioni che da sempre per semplificazione chiamiamo amore. L’amore sensuale, carnale ricercato da Gabrielle (con il marito prima e con l’amante poi) nel tentativo di un’emancipazione sessuale femminile ancora ben lontana dal realizzarsi. Sembra che il contatto con l’altro sia per la donna l’unica via di esplorazione e conoscenza del sé, contatto che però viene continuamente soffocato e provoca dunque in lei solo tormento interiore. L’amore romantico, fatto di poesie e tormenti dell’animo, quello che ancora prova Gabrielle per André, un giovane Werther nostalgico e morente, affondato nel suo candido letto, circondato da libri e bauli. L’amore platonico, sognante, irrealizzabile di due amanti che non possono consumare la loro passione che rimane di fatto per anni solo un pensiero nella testa di Gabrielle. Infine, l’amore affettuoso, silenzioso, arrendevole di un marito che rimane in disparte ma accanto alla moglie per tutta una vita, sostenendola nei momenti più bui, salvandola letteralmente, nonostante la quasi totale mancanza di affetto di lei.
Otto nomination ai Cesar 2017, tra cui Miglior Film e Miglior Regia, la pellicola, grazie soprattutto all’interpretazione intensa di Marion Cotillard combinata a una fotografia pulita ed essenziale, volta a mettere in risalto la sofferenza del suo viso, ci mostra, in maniera efficace, il dolore della condizione femminile di allora, soffocata e piegata dalle convenzioni sociali, in particolare in materia di sessualità. Il film è in definitiva una storia di ribellione interiore, mai realmente attuata, nell’attesa di tempi più favorevoli.
di Carolina Zimara