Perdere il posto dove stare è come perdere sé stesse. Perdere la possibilità di tornare a casa la sera, spogliarsi degli abiti pregni degli odori della giornata, sostituirli con quelli lindi e rassicuranti di casa è come perdere la propria identità, fino a cancellare i propri nomi per assumerne altri, fittizi: Lady D, Édith Piaf, Brigitte Macron, Beyoncé, Salma Hayek. Queste sono le protagoniste della storia, le quali una volta erano Patricia, Fedoua, Chantal, che una volta avevano una casa, un lavoro, una famiglia e che ora stanno davanti ai cancelli del centro diurno per donne senza fissa dimora, Envol, in attesa di racimolare abiti puliti, un letto, briciole di calore. Ma la storia è anche quella delle quattro assistenti sociali che gestiscono il centro, indistinguibili nel loro aspetto da Beyoncé e le altre, logorate dalla difficile gestione della struttura che dipende dall’amministrazione pubblica, spesso troppo lontana dalle reali esigenze delle donne in difficoltà, al punto che decreta, infine, la chiusura definitiva dell’edificio, per mancanza di fondi e di risultati concreti.
Ma la speranza è più difficile da rinchiudere e lasciare fuori dal cancello. La speranza vive, palpita, esplode proprio nei momenti più bui, proprio quando pare che sia tutto, davvero, perduto. E ridare la speranza a Lady D e alle altre è l’obiettivo, fisso, a tratti quasi ossessivo, di Audrey e Manu, direttrici, risolute e benevole, della casa di accoglienza. La macchina da presa le incastra spesso dietro le sbarre dei cancelli, a rafforzare la loro impossibilità di agire nei confronti delle autorità. Ma Audrey e Manu si ribellano e trasformano abusivamente la struttura in un laboratorio terapeutico e in un dormitorio. Interpretato da attrici non professioniste, da donne che hanno davvero vissuto per strada, il film ha scosso le coscienze in Francia: la sindaca di Parigi si è impegnata a intervenire per migliorare la situazione delle senza fissa dimora, iniziando a dare alloggio a cinquanta di loro.
Alla sua terza fatica cinematografica, il regista Louis-Julien Petit, habitué della rappresentazione di scomode tematiche sociali – Discount era la storia di un gruppo di cassiere sottopagate sostituite dalle casse automatiche e Carole Matthieu era l’atto di accusa di un medico del lavoro contro un’azienda dalle tecniche manageriali discutibili – tratta i suoi protagonisti affaticati con estrema delicatezza e rispetto, regalando al pubblico un ritratto il più possibile umano, scevro di qualsivoglia orpelli stilistici. Non c’è ombra di giudizio o pietà in Le invisibili. Le vite vengono narrate per quello che sono: fragili legami, scarni sorrisi e ingiustizie.
Carolina Zimara