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La vita invisibile di Eurídice Gusmão – Karim Aïnouz

Vincitore di “Un Certain Regard” a Cannes, una testimonianza felice del cinema brasiliano nonostante le difficoltà del paese nell’era Bolsonaro. Come ninfe – Euridice della mitologia greca – due sorelle si trovano su un abisso, quello geografico delle alture di Rio de Janeiro, ma a un livello metaforico rappresenta anche il destino che le attende. Eurídice e Guida guardano l’orizzonte. Guida si appresta ad andar via. Eurídice la segue, si guarda attorno, urla il nome della sorella. Con titoli di testa (e di coda) dai caratteri tribali di un rosso acceso tra le fronde di una natura ammaliante, inizia La Vita invisibile di Eurídice Gusmão, adattamento del romanzo di Martha Batalha. Una visione onirica di quel che sta per accadere: una separazione di due donne che si affacciano alla vita adulta negli anni cinquanta.

Eurídice e Guida sono diverse ma fortemente unite nella complicità e nell’affetto. La prima è una pianista dotata che sposa l’uomo suggerito dalla famiglia, è l’archetipo di una donna ligia al dovere, timorata della figura patriarcale. La seconda si innamora e fugge con un marinaio greco, è ribelle e in contrasto continuo con l’autorità. Entrambe vivranno in attesa di potersi rivedere, fuorviate sulla vita dell’altra dal padre. Guida ed Eurídice potrebbero essere le due esistenze di un unico personaggio scisso da un gesto di rottura (quello di Guida) che ha prodotto una deviazione nello spazio e nel tempo, una doppia vita e un duplice racconto di formazione, drammatico e epistolare, visto le numerose lettere che non arriveranno mai a destinazione. Ogni donna, soprattutto nel passato – ma anche oggi – ha una vita invisibile, quella che avrebbe desiderato vivere.

Con inquadrature a piano medio nei momenti intimi, senza dar mai profondità all’ambiente e concentrandosi principalmente nel delineare ora i volti, ora i corpi in scena, Aïnouz dà così profondità allo stato psicologico dei personaggi. Le scelte cromatiche “a pastello” contrastano ambienti castranti, privi di vita. Girato con luci fredde, un abbondante uso di colori avvolgenti, come un sangue rappreso a cui il gelo circostante impedisce di sciogliersi e una fotografia delicata dal sapore di un cinema dei tempi che furono, La vita invisibile di Eurídice Gusmão è un racconto magistrale sulla condizione femminile grazie a due protagoniste dai volti originali ed esordienti: Carol Duarte e Julia Stockler. Una storia mitica, che si ripete, e dove le regole del “quieto” vivere sociale determinano da un lato l’infelicità di chi le trasgredisce, dall’altro anche quella di chi invece vi si adegua senza avere però in cambio nulla. Un film che affida al reciproco supporto tra donne l’ultima speranza per poter condurre un’esistenza di libertà e di autodeterminazione, perché la sorellanza, che ci sia o meno una relazione di consanguineità, supporta.

Alexine Dayné

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