Proiettato nella primavera di quest’anno al Bari International Film Festival, dopo la presentazione al 69° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, in occasione del quale si aggiudica il premio FIPRESCI nella sezione Panorama, il primo di numerosi riconoscimenti, Dafne è un elogio alla poesia delle piccole cose.
La protagonista è una ragazza down di trentacinque anni, che si trova ad affrontare il lutto inaspettato della madre e la conseguente ridefinizione degli equilibri familiari. Attraverso i suoi occhi scopriamo, scena dopo scena, la storia che ha da raccontare, in un delicato alternarsi di emozioni: difficile restare seri, impossibile non commuoversi. È lo stesso regista a definire l’opera il risultato dell’incontro tra più generi: «senza trasformare ladisabilità in tema d’intrattenimento, Dafne è una commedia drammatica o un dramma in chiave di commedia: una dramedy dove si può ridere e piangere allo stesso tempo». Federico Bondi, al suo secondo lungometraggio di finzione, scommette tutto sull’autenticità dei sentimenti e sulla necessità di raccontare la diversità rovesciandone gli schemi: abbandonati i pregiudizi, non resta che seguire Dafne, interpretata dalla potente Carolina Raspanti, e suo papà Luigi, in un viaggio che li porta a riscoprire i luoghi e il passato di Maria, fino a pochi mesi prima ponte della loro unione. Caduto in una profonda depressione, Luigi dimostra tutta la sua incapacità ad assumere il ruolo del capofamiglia, mettendo in luce la forza vitale della figlia, che trova nel lavoro, nell’affetto degli amici e nelle piccole soddisfazioni del quotidiano la forza di reagire al tragico evento. La saggezza di Dafne, apparentemente così indifesa, emerge in ogni suo gesto, in ogni sua parola. È lei che, in un ribaltamento di ruoli, prende per mano il papà riconducendolo sulla strada dell’amore e della riconoscenza, offrendo nuovamente a lui e ai loro spettatori la serenità perduta. Se da un lato si ammira il coraggio della protagonista, reso indimenticabile dal carattere energico e ironico della sua interprete, Antonio Piovanelli appare forse troppo immobile, schiacciato, all’interno della narrazione, dalla maturità del personaggio principale: se è vero che ciò collabora a trasmettere il vuoto della perdita e il senso di smarrimento che ne consegue, si perde altresì la forza comunicativa di un personaggio cardine del racconto.
La diversità, che già di per sé pone in essere il difficile problema del confronto, si offre, in quest’opera dal carattere universale, quale spunto di riflessione profonda: in anni in cui si costruiscono nuovi muri a sancire i confini, Dafne difende il diritto degli esseri umani a riconoscere la loro unicità, al di sopra di ogni differenza.
Valeria De Bacco