Presentato in anteprima alla 36a edizione del Torino Film Festival, il primo lungometraggio di Simone Catania, che ne cura anche soggetto e sceneggiatura, è insieme film di ribellione e viaggio on the road. Antonio e Agostino sono “compari” d’infanzia, cresciuti a Blufi, piccolo paese della Sicilia da cui li accumuna il desiderio di scappare. Inizia così l’opera del giovane regista, che porta sul grande schermo sentimenti potenti, ispirati alla sua personale vicenda umana, ma a tal punto intrecciati alle innumerevoli storie di espatriati come lui, da divenire portavoce di un lamento universale, quello di chi, senza concedersi il lusso di guardarsi indietro, lascia la propria terra per costruire altrove un futuro migliore. Dal sole di una Sicilia che è emblema del Mediterraneo, ci troviamo improvvisamente catapultati nello spazio impersonale e privo di calore dell’Europa centrale. Lì, in uno dei tanti anonimi parcheggi per camionisti, Antonio ritrova finalmente Agostino, di cui aveva perso le tracce in gioventù. Ormai adulti, i due uomini si studiano dapprima circospetti, incapaci di ritrovare la sintonia della loro fanciullezza, per poi lasciare fluire la solidarietà fraterna di un tempo.
L’esordio di Simone Catania sul grande schermo è un film spigoloso: fin dalle prime battute emergono preponderanti l’amarezza e la rabbia, sentimenti cupi che si fanno strada sequenza dopo sequenza, contagiando anche lo spettatore. La claustrofobia mentale in cui sono bloccati i protagonisti è intervallata da momenti di dinamismo, in cui sullo schermo scorrono le immagini dei passaggi attraversati col camion di Agostino: questo alternarsi di stasi e movimento è il simbolo di un’Italia paludosa, da cui è necessario scappare per non farsi risucchiare e che però è pur sempre casa, origine, radici. Lo spazio fisico si presta così ad una lettura metaforica di questi anni difficili, ma anche del percorso compiuto dai due protagonisti. Ormai convinti dell’animo cupo dell’opera, ci stupiamo nell’assistere alla virata compiuta dalla storia, che saggiamente non prende la via semplicistica del lieto fine e riesce a stemperare i momenti più sentimentali grazie alla scelta di una musica dance elettronica che spezza l’incantesimo e obbliga al realismo. Per una buona mezz’ora, Catania conduce il suo pubblico lungo una strada non ben definita, ma è proprio nello scoprire una destinazione inattesa che si trova la forza comunicativa di questo lavoro.
La precarietà dell’esistenza, che unisce i destini dei giovani italiani delusi dal loro paese, si configura quale cifra stilistica del film: in quest’opera ci sono tutti i temi di una generazione che rivendica il diritto di colmare il vuoto che sente dentro, quell’impalpabile malessere riscattato solo dall’amicizia e dall’amore. Simone Catania mostra così di saper sorprendere: andando al di là delle apparenze e della forma, punta alla sostanza e lo fa con incredibile schiettezza.
Valeria De Bacco