“Un’orchestra rappresenta il microcosmo di una società. Questa orchestra in particolare rappresenta il microcosmo di una società che non è mai esistita e che forse non esisterà mai”. Con queste parole esordisce Elena Cheah nel suo Insieme, libro che racconta della sua esperienza da violoncellista nella West-Eastern Divan Orchestra, fondata alla fine del secolo scorso da Daniel Barenboim e Edward Said. Il film Crescendo – #makemusicnotwar, presentato in anteprima al Festival Internazionale del cinema di Monaco nel novembre del 2019 e uscito nelle sale italiane nell’agosto del 2020, si ispira liberamente alle vicende di questa orchestra molto speciale, per affrontare il tema sempre spinoso e delicato del conflitto identitario e dell’incontro con l’altro.
Al celebre direttore Eduard Sporck viene proposto di mettere in piedi e dirigere un’orchestra composta da giovani musicisti palestinesi e israeliani: un compito quasi impossibile che quest’ultimo decide tuttavia di mettere in pratica. I ragazzi reclutati, animati tanto dall’odio e dal pregiudizio quanto dall’ardente passione per la musica, non perdono tempo nell’ingaggiare una serrata battaglia tra le due fazioni avverse, capeggiate dai due primi violini: la palestinese Layla e l’israeliano Ron.
Ciononostante, il conflitto che pareva inevitabile ed insanabile, e che avrebbe compromesso le sorti dell’impresa, lascia man mano posto a spazi sempre più profondi e genuini, benché mai definitivamente pacificati, di dialogo, di collaborazione, di amicizia e forse persino d’amore.
Più che un inno, l’opera, per i suoi toni disincantati e per nulla edificanti, si presenta come un’accorata ed equilibrata esortazione all’unità e alla solidarietà umana, di cui si fa fragorosa portavoce la potenza mistica della musica. Il regista, nato a Tel Aviv e residente in Germania, libera infatti il campo da ogni possibile equivoco quando afferma che il suo film “non ha nulla di buonista…neppure nel finale”. Al di sopra di qualsiasi vicenda individuale, sembra allora suggerirci, la musica in concerto ci può restituire quel metro comune di valutazione circa l’umanità dell’altro e la sua riconoscibilità, quell’identità comune che, tra i contrappunti dei diversi strumenti, costituisce un’unica armonia di fondo. D’altra parte, è lo stesso Barenboim ad aver sostenuto che “…improvvisamente c’è qualcosa che non si può più dividere. Fare musica, in un certo senso, è così”.
Enrico M. Zimara