Petite maman, presentato in anteprima nel marzo del 2021 al 71º Festival internazionale del cinema di Berlino, racconta la storia di un incontro speciale, capace di varcare e ridefinire i confini del tempo, della memoria e degli affetti. La piccola Nelly, di otto anni, arriva assieme ai genitori nella vecchia abitazione della nonna, da poco morta in una casa di riposo. Inevitabilmente, la famiglia viene investita dai ricordi e dalla nostalgia: soprattutto la madre di Nelly, Marion, è colpita dai molti oggetti che ritrova in casa, oggetti che le appartenevano e che le danno l’occasione di raccontare alla figlia di quella casetta di legno che da bambina aveva costruito nel bosco, vicino all’abitazione. Improvvisamente, Marion è costretta ad allontanarsi da casa, lasciando soli Nelly e il padre. Quello stesso giorno, le esplorazioni che la piccola Nelly è solita condurre dal momento del suo arrivo in questo affascinante mondo di ricordi, la conducono proprio fino a quella casetta di cui ha tanto sentito parlare. La casetta, tuttavia, sembra sorprendentemente essere ancora in costruzione: intenta nel lavoro c’è una bambina che, presentandosi a Nelly, dice di chiamarsi Marion…
Nel suo saggio Sur un art ignoré, il critico cinematografico Michel Mourlet ha affermato che «il cinema è uno sguardo che si sostituisce al nostro per donarci un mondo in accordo con i nostri desideri». Questa affermazione potrebbe essere un riassunto efficace dell’operazione narrativa e stilistica della regista Céline Sciamma: Nelly e la madre-bambina Marion fondono il loro sguardo sul mondo in un idem sentire che avvolge presente e passato in un’atmosfera dolce e sospesa, capace di scavalcare quella cruda e spietata legge del tempo che quasi mai coincide con i ritmi interni del dolore e della perdita. Il cinema è dunque nient’altro che questo: la poesia e l’amore che trasudano dai giochi e dalle risate delle due bambine, il dono di una realtà che non esiste, ma che è comunque in grado di curare le ferite dell’anima.
Enrico M. Zimara