Per il suo esordio alla regia, Viggo Mortensen non si risparmia e veste i panni del regista, del coprotagonista, dello sceneggiatore e del produttore, oltre a realizzare la colonna sonora di Falling – la seconda, dopo quella che lo ha visto impegnato nel film Jauja del 2014. Attore di grande talento, conosciuto soprattutto per il ruolo del re Aragorn interpretato ne Il Signore degli Anelli, Viggo Mortensen si dimostra essere un artista talentuoso e raffinato, capace di dare vita ad un film che, pur con i limiti delle opere prime, ha in sé la profondità di una riflessione matura sul cinema e sulle sue tematiche.
Willis (Lance Henriksen) è un uomo di altri tempi, padre padrone che, da giovane pensa non ci sia nulla che non possa essere sistemato con la giusta dose di aggressività e violenza, mentre da anziano non sente l’urgenza di porre rimedio agli errori di gioventù, né tantomeno il bisogno di farsi carico del peso delle proprie azioni. Affetto da demenza senile, per un breve periodo è obbligato a lasciare la sua amata casa nello stato di New York, per seguire il figlio John (Viggo Mortensen) in California.
Quest’ultimo non potrebbe essere più diverso dal genitore: omosessuale, vive con il suo compagno Eric (Terry Chen) e la loro figlia adottiva Mónica (Gabby Velis), con i quali frequenta gallerie d’arte, ride, dialoga e si emoziona pacificamente. La quiete e il senso della misura con cui la sua famiglia si approccia alla vita rendono ancora più evidente il carattere collerico e irascibile di Willis, che sovrappone i ricordi di gioventù agli istanti presenti, in un coerente sentimento di rabbia verso il mondo che lo circonda.
Presentato in anteprima al Sundance Film Festival del 2020, il film non vuole affermarsi come voce innovativa e fuori dal coro nella rappresentazione delle tematiche su cui si sviluppa la trama: relazioni umane, emancipazione femminile, famiglie arcobaleno, omosessualità, rapporto padre e figlio, morte non sono argomenti nuovi per il cinema, né tantomeno lo sono nella forma che Viggo Mortensen sceglie per il proprio racconto, ma si percepisce, evidente, un bisogno intimo e umano di affrontarli offrendo loro la possibilità di esistere all’infuori di sé. Come se, affidando al grande schermo il compito di raccontare una delle tante storie conflittuali che legano un padre burbero al primogenito incapace di soddisfarne le aspettative, fosse possibile affrancarsi dal dolore di un’umanità perennemente in lotta con se stessa.
Valeria De Bacco