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Jane By Charlotte

L’icona (dal greco eikon) è un’immagine che ha un forte valore simbolico e prende il significato di rappresentazione sacra. Per icona si intende un personaggio che ha acquisito una tale popolarità da essere paragonato ad una figura divina. Qui vediamo un ritratto umano e commovente di un’icona senza tempo ma il modo in cui viene raccontato è diverso. Avviene attraverso lo sguardo unico di una figlia. Una giovane attrice britannica Jane Birkin e un noto cantante francese Serge Gainsbourg si incontrano su un set e si amano follemente. Dal loro incontro, oltre al singolo conosciuto in tutto il mondo, Je t’aime… moi non plus, nasce una bambina, Charlotte Gainsbourg. Ognuno di loro, seppur nei rispettivi ambiti, farà la storia dell’arte contemporanea francese. Charlotte Gainsbourg realizza la sua prima opera, personale e intima, pienamente sua, un documentario-tributo alla madre che parte con delle riprese scomposte da backstage di quest’ultima al suo ennesimo concerto di successo. Poi si svela l’anima filmica: un confronto serrato tra due donne che è insieme un dialogo artistico, un monologo a due voci dove prevale il sangue, il talento, la passione per l’arte, per la fotografia, per la musica, per quel Serge Gainsbourg che citano a più riprese e di cui mostrano la casa-museo lasciata intonsa a Parigi.

La regista riprende l’altro volto della madre-artista, quello privato, con i suoi cani e con le nipoti (figlie di Charlotte), in pescheria, inserendo nella narrazione scatti fotografici e sfocature di luce come a voler sottolineare la luminosità dell’anima che ha scelto di porre al centro del racconto. Non è una narratrice estranea, entra sin dalla prima scena nel suo documentario, polverizzando il confine tra biografico e autobiografico e svelando anche molto di se stessa. La figlia spiega alla madre perché ha deciso di realizzare il suo primo lungometraggio proprio su di lei: “Un pretesto per poterti guardare come non ti ho mai guardata o come non ho mai osato guardarti”. E svela anche il suo metodo, ammettendo di non sentirsi del tutto padrona del mezzo che adotta, ma che risulta efficace: filmare dei piccoli pezzi, costruendo man mano che si procede, senza seguire una sceneggiatura perché “Varda aveva ragione. Bisogna catturare”. E infatti Jane par Charlotte strizza evidentemente l’occhio a Agnès Varda. Jane e Charlotte affrontano davanti alla macchina da presa temi esistenziali, ricordi, paure. Il ritratto di questa figlia, che molto delicatamente si accosta al volto della madre, è così intimo da farsi parabola universale del rapporto madre-figlia, pur non celando la straordinarietà di due esistenze tanto peculiari.

Alexine Dayné

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