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L’immensità

Un rumore. Una vibrazione. Una donna e mamma bella come il sole. Queste potrebbero essere le parole di una canzone o forse lo sono, e indagano L’immensità, l’ultimo mondo e non il Nuovomondo di Emanuele Crialese. A undici anni di distanza dalle storie mediterranee di Terraferma, il regista realizza un’opera che riallaccia i legami con la memoria. Sulle note di Raffaella Carrà, una Penelope Cruz in tutto il suo splendore, con una vestaglia verde e sottoveste bianca – e successivamente la vediamo in una sequenza onirica in bianco e nero – balla in maniera libera e fluida accompagnata dai suoi figli ballerini. Una storia di passati e di futuri, un po’ perché siamo nella Roma degli Anni Settanta, un po’ perché le inflessioni famigliari ricordano Respiro, con cui Crialese si affermò nel panorama europeo. Presentato a Venezia, il film potrebbe essere considerato un romanzo di formazione (autobiografico), ma il riflesso narrativo non si sofferma solo sulla storia personale di una ragazzina, bensì si inserisce in un discorso dall’ampia prospettiva. Mentre l’urbanizzazione si innalzava tra palazzi, modificando l’orizzonte, e Celentano e Carrà cantavano Prisencolinensinainciusol, l’arcaica famiglia italiana stava provando a liberarsi dai retaggi del patriarcato. Le abitudini e le tradizioni si stavano incrinando, e di conseguenza anche la concezione di genere stava acquisendo una nuova consapevolezza.

L’Immensità è anche un film sulla famiglia: tre figli e la relazione con la loro rumorosa e meravigliosa mamma, facendo poi silenzio quando torna a casa quel padre che nasconde una profonda grettezza morale e umana. E’ su uno dei tre figli, Adriana, che la storia si sofferma. Ha dodici anni, crede di arrivare da un pianeta lontano. Cerca un segno dal cielo che non arriva, e intanto si chiede perché è nata in un corpo da femmina quando lei si sente invece un maschio. “E’ più importante quello che abbiamo dentro o quello che abbiamo fuori?”. Vuole essere identificata come Andrea perché questo è il nome che la rappresenta, cioè il suo dentro, il suo vero essere. Andrea vive una vita difficile cercando una soluzione, un miracolo affinché il suo corpo possa coincidere nell’aspetto a ciò che è dentro: un uomo. Il rapporto con quello che dovrebbe essere suo padre non esiste, ed è in sua mamma Clara che trova costantemente un rifugio e una novità. La sua ricerca di un’identità finisce via via per sfilacciare i rimasugli di un matrimonio ormai finito. Un film in cui gli aspetti drammatici si sovrappongono alla dolcezza e all’immaginazione (anche visiva), e rendono ancora più verità e giustizia un racconto spontaneo ed emozionale.

Alexine Dayné

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