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Tromperie – L’inganno

Una sessantina di scene in cui un uomo e una donna parlano in una stanza. Stringatamente, potrebbe definirsi così l’opera Tromperie, del regista francese Arnaud Desplechin, tratta dal romanzo Inganno (Deception, 1990) dello scrittore americano di origine ebraica Philip Roth: la presenza di questa fonte letteraria si vede, o, meglio, si sente. La sceneggiatura è la trasposizione, non solo a livello contenutistico ma anche formale, del libro, che offre al lettore, e qui allo spettatore-ascoltatore, uno scorrere incessante di dialoghi. Perlopiù, quelli che intercorrono tra il protagonista autobiografico (e marcatamente somigliante all’originale), lo scrittore Philip, e la sua amante (del momento), il cui nome resta sconosciuto. Luogo privilegiato dello scambio dialogico è lo studio dello scrittore, illuminato, ritratto, ripreso di volta in volta in modo da risultare cangiante, sempre nuovo. La suddivisione in capitoli contribuisce al ritmo del film consentendo salti temporali e spaziali alla storia. I set scenici, di impianto fortemente teatrale, assumono spesso un valore astratto e onirico e permettono al regista di dare un’immagine alle parole, grazie all’uso attento delle luci e a soluzioni con rimandi simbolici visibilmente artificiose. Gli sguardi in macchina, poi, offrono l’accesso diretto al mondo interiore dei protagonisti. Un racconto denso di temi, quelli privilegiati da Roth, come la sessualità e il desiderio, il tradimento e il matrimonio, la malattia e la morte, gli ebrei e i rifugiati, ma anche una riflessione sulla letteratura, sul diritto dell’opera creativa di nutrirsi e realizzarsi attraverso la realtà e la vita, anche senza “chiederne il permesso”, come, in fin dei conti, anche la vita fa nei riguardi dell’immaginario. Ed ecco così che i piani dell’inganno sono numerosi, interpretabili, si intersecano e (si) confondono.

C’è spazio anche per un simbolico flashforward culturale, nella scena del processo allo scrittore (Roth è stato da molti tacciato di misoginia), che rimanda al movimento femminista noto come #MeToo. Nel suo film, però, Desplechin mostra il Philip alter ego di Roth piuttosto come un vivo e appassionato sostenitore delle donne e dei loro racconti, offrendo loro un ruolo primario nel film: sono libere di esprimere quello che hanno dentro, di fare domande e pretendere risposte, e in questo parlare sono sempre ascoltate dallo scrittore audiofilo (non importa se col secondo fine di acquisire materiale per la sua opera). Il flusso di parole si fa flusso di coscienza, come in un percorso di (auto)analisi, e, per la donna, meravigliosamente interpretata da Léa Seydoux, rappresenta un percorso di conoscenza e crescita personale (che confluisce nell’epilogo, forse il climax emotivo della narrazione).

Tromperie offre una rappresentazione del tradimento senza il limite del giudizio morale, dedicandosi piuttosto all’osservazione da dentro, alla natura complessa e profonda della relazione che può crearsi tra gli amanti che, nutrendosi e scoprendosi con domande continue (arrivando persino a strutturare un questionario degli amanti che sognano di fuggire insieme), si spogliano l’uno di fronte all’altra realmente e simbolicamente, in un gioco serissimo in cui ad incontrarsi, oltre ai corpi, sono soprattutto le anime.

Loredana Iannizzi

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