Attivo fin dagli anni Novanta, Ibro Delić è un pastore bosniaco musulmano salafita radicalizzato che, qualche tempo fa, è stato condannato a 23 mesi di carcere con l’accusa di fare proseliti per reclutare nuovi giovani da mandare in Siria a combattere. Prima di andare in carcere l’uomo ha deciso di affidare ai tre figli, Jabir, Usama e Uzeir, la gestione del suo gregge con anche la promessa di rispettare il Corano in ogni suo aspetto. In questo preciso momento di separazione entra in scena lo sguardo di Francesco Montagner, giovane regista veneto, vincitore, con questo suo esordio in solitaria, del Pardo D’Oro al Festival del cinema di Locarno nella sezione Cineasti del presente. Il suo occhio sceglie di seguire i tre ragazzi nel periodo in cui si trovano improvvisamente soli, combattuti tra la dura educazione impartita loro e i desideri di indipendenza. Ibro, infatti, ha già definito i loro futuri: Jabir, l’unico maggiorenne, dovrà cercare lavoro in Germania, Usama ingrandire il gregge e Uzeir, il più piccolo, migliorare i propri voti a scuola per poter diventare Imam. Con pochi dialoghi, mentre si alternano le stagioni, Montagner descrive i tre differenti caratteri dei giovani insistendo, soprattutto, sulla loro umana fragilità.
La sua camera mobile segue senza invadenza la loro crescita mostrandoci come, a mano a mano, da ragazzini dediti al gioco e agli scherzi, i fratelli Delić cominciano a differenziarsi nel modo di rapportarsi tra loro e di affrontare la vita. Vero padre-padrone, la presenza di Ibro aleggia di continuo sulla casa, ma le reazioni sono inevitabilmente differenti. Se Jabir prova a trovare una sorta di normalità passando le notti dalla fidanzata, Usama e Uzeir vedono, invece, accendersi sempre più la loro rabbia. Il primo vive nel mito di un padre che non è mai contento di lui, il secondo, invece, manifesta apertamente e di continuo la sua insofferenza per un tipo di esistenza che non sente appartenergli. Montagner non giudica, non censura, non si schiera mai a favore o contro nessuno dei suoi protagonisti, bensì cerca di documentare le dinamiche di una famiglia nella quale lo spazio per essere ragazzi ha sempre un velo di racchiusa violenza. Violenza che non si esplicita tanto nella natura che li circonda, fatta di lupi e di pericoli sparsi, bensì nell’inesorabile attesa del ritorno di un padre ingombrante. Cosa succederà quando Ibro uscirà dal carcere? Brotherhood non dà risposte: resta a noi provare a scrivere un nostro finale, con negli occhi la visione di un’intima realtà cruda e poeticamente sincera.
Marco Mastino