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Incroci sentimentali

A una prima lettura della trama, il film, Orso d’argento per la miglior regia al 72° Festival internazionale del cinema di Berlino, sembra limitarsi alla vicenda del ménage à trois, in chiave drama thriller. Guardando Incroci sentimentali, però, ci si accorge fin da subito che c’è di più. Il titolo del romanzo, scritto dalla co-sceneggiatrice Christine Angot, di cui il film è l’adattamento, e quelli originale e internazionale del film, vale a dire, nell’ordine, Un tournant de la vie, Avec amour et acharnement e Both sides of the blade (anche titolo del tema musicale) fanno emergere le tematiche predominanti del lungometraggio: l’amore e i suoi risvolti, gli eventi che conducono a un bivio e che impongono delle scelte. Come accade a Sara e Jean, una coppia matura e innamorata, serena nonostante le difficoltà (così rappresentata nella sequenza iniziale nell’acqua, inondata di luce e gesti di affetto ma accompagnata da una musica che fa presagire anche altro). Le loro vite sono sconquassate dal ritorno di François, rispettivamente ex compagno ed ex miglior amico, a cui entrambi iniziano a rivolgere ossessivamente il proprio interesse. La macchina da presa segue da vicino i protagonisti, cogliendo le più piccole sfumature e i cambi di espressione, uno sguardo che si abbassa, un sorriso che affiora malinconico. Le riprese fuori casa rivelano la quotidianità di tutti – le mascherine sui volti e le interviste agli ospiti radiofonici di Sara, attualizzano la storia – mentre le scene in casa, sul terrazzo in particolare, mostrano semplicità e difficoltà della vita domestica, di una coppia alle prese con la propria intimità fatta di spazi, corpi e parole.

Gli attori Binoche e Lindon regalano maturità e spessore al film, sono credibili e autentici. Sara, forse, affronta il percorso più tortuoso, tra l’euforia e la paura nel sentirsi travolta dalla passione, la voglia e il terrore di perdere il controllo, sorretta dalla volontà ferrea di mantenere la relazione presente, ma al contempo spinta tra le braccia di un passato che ritorna o che, forse, riemerge, non essendosene mai davvero andato. Come lei stessa dice, “quando hai amato qualcuno quella persona non svanisce mai del tutto”. E il suo parlarsi allo specchio, alla ricerca della propria identità, l’esigenza di ribadire l’amore e al tempo stesso il tentativo di emanciparsi da quei limiti che, a volte, questo sentimento impone, soprattutto quando prende la deriva del “possesso”. La band britannica Tindersticks, che collabora ormai da oltre un ventennio con la regista Claire Denis, firma la meravigliosa colonna sonora che avvolge con inquietudine e amarezza il racconto, a ricordare la piega “pericolosa” che alcune relazioni possono prendere. La parallela storyline che vede protagonisti il figlio e la madre di Jean resta sullo sfondo, limitandosi ad abbozzare vaghi spunti di riflessione. La potenza del film è sicuramente data dall’autenticità della storia narrata che spesso sembra non coincidere con il reale vissuto dei protagonisti, soprattutto nell’ambigua parte finale, dove percezione, realtà e desideri repressi si mischiano e contribuiscono a creare la confusione che conduce alla deflagrazione sentimentale ed emotiva, alla ricerca di quel vuoto che deriva dalla perdita e che ha il sapore della libertà.

Loredana Iannizzi

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