Come vede il mondo umano (maschile) un essere non umano, se vogliamo alieno, sicuramente estraneo alla società umana? Questa sembra essere la domanda che investe gli spettatori sin dalle primissime scene del film e sulla quale il regista si focalizza per tessere una sottile trama fantascientifica, basata sull’omonimo libro di Michel Faber.
Rinunciando ad ogni altro elemento presente nel romanzo, Glazer si concentra esclusivamente su un’unica protagonista, Laura (Scarlett Johansson), un essere dalle attraenti sembianze umane che, a bordo del suo furgone, perlustra in lungo e in largo le malinconiche strade scozzesi alla ricerca di uomini soli, da adescare per scopi non troppo chiari, ma che capiamo non abbiano sicuramente a che fare con il mondo terrestre.
Un posto d’onore nel film viene occupato dal silenzio, fedele passeggero dell’autista-aliena, che sembra servirsi della parola solo per raggiungere il suo scopo primario e cioè convincere i malcapitati a seguirla nella sua casa diroccata per poi dare il via a quello che diventa il rituale del denudarsi; si lascia così spazio al tema musicale, molto efficace e capace di lasciare ben preludere ad un successivo momento di tensione.
Ed è proprio nell’azione del denudarsi che si palesa il grande tema dell’opera – rintracciabile peraltro già nel titolo – del corpo nudo, nella sua accezione biologica di pelle e carne e nella sua declinazione metaforica di involucro dell’anima. In maniera delicata ma evidente, infatti, gli uomini si spogliano completamente, senza esitazione, dei propri vestiti, ma soprattutto della propria anima, del proprio io e del loro essere umani, inebriati davanti alla formosa aliena che li trascina lentamente nel baratro di uno scuro e oscuro liquido.
Quello che, forse volutamente, manca nel film è un’operazione di immedesimazione in un qualsivoglia comportamento o scelta di Laura. Glazer ripulisce completamente le immagini, anche dal punto di vista della fotografia e della messinscena, da qualsiasi tentativo di spettacolarizzazione e quindi di coinvolgimento empatico. L’ambientazione scarna dei paesaggi scozzesi ed una fotografia asettica e ovattata sono scelte registiche che sembrano andare esattamente in questa direzione.
Accolto non senza critiche alla Mostra del Cinema di Venezia, Under the skin rimane comunque un tentativo di connubio, se non altro singolare, tra il genere fantascientifico e temi da questo tradizionalmente distanti quali il fascino femminile, il silenzio e la quasi totale mancanza di azione. A voi spettatori l’arduo compito di giudicare se tale tentativo sia riuscito o meno.
Carolina Zimara