Wim Wenders ci ricorda che cinema e fotografia non sono altro che lavoro sulla luce e sul disegno: dalle lotte tra tenebra e luce nell’espressionismo tedesco alla metafisica delle immagini in Terrence Malick, dai lavori della Magnum Photos fino alle fotografie di Salgado, si tratta sempre di un artigianato della luce. Sebastião Salgado, protagonista dell’ultimo documentario di Wim Wenders, Il sale della terra, è uno dei più importanti fotografi viventi: ha attraversato il ventesimo secolo, catturandone i momenti più intensi e meno visibili, con un occhio sempre attento alla dimensione essenzialmente umana di ogni evento.
Come già nel precedente Pina, dedicato alla danza, Wenders fa incontrare la propria opera con un ambito “altro”, per dare, attraverso questo circuito, nuova linfa al suo cinema. Il regista, affiancato dal figlio di Salgado, Juliano Ribeiro, ci racconta la vita del fotografo, attraverso interviste, – rigorosamente in bianco e nero – esplorazioni in prima persona, proiezioni di fotografie e momenti di dialogo: conosciamo così l’uomo Salgado, la sua famiglia, le sue idee sul mondo e i suoi progetti. Scopriamo così che il suo è un pensiero fotografico, che le sue riflessioni sono già fotografie, che, insomma, il suo è un occhio concettuale, capace di tagliare il reale da un punto di vista esistenziale: che si diriga verso l’uomo e le sue (devast)azioni o che si volga verso la natura e il regno animale, Salgado rintraccia sempre dei sentieri che ci portano a riflettere sul senso della vita.
Lo sgomento di fronte alla disperazione, ai bambini morti per fame o nelle tante guerre che hanno insanguinato l’Africa Nera, è un grido di dolore del fotografo che, da profondo umanista, rifiuta di accettare la presenza del male nell’uomo. La malvagità umana, dissezionata dalla sua fotografia, sembra così far transitare Salgado nei pressi di un’acuta depressione, dalla quale lo salva un vero e proprio “ritorno alla natura”, la scoperta di una ciclicità immanente alla vita: dalla devastazione si può giungere ad una rinascita, da un terreno diventato arido si può rigenerare una foresta. Ecco il nucleo segreto dell’ecologismo a sfondo umanista che sintetizza l’intera poetica di Salgado: una speranza in un ritorno paradossalmente “nuovo”, commisurato alla capacità dell’uomo di invertire il senso della propria azione. E’ anche un ritorno alla terra natia, il Brasile, dopo una vita passata in Francia.
Non mancano certo alcuni momenti di stanca e da Wenders ci si poteva forse aspettare una regia più autonoma e meno pedissequamente funzionale alla poetica di Salgado ma Il Sale della Terra è un film riuscito, al tempo stesso una riflessione sull’uomo, a partire dalla vita di un fotografo, un canto di disperazione e speranza e, in fin dei conti, un vero e proprio saggio sul senso della fotografia, oggi.
Giulio Piatti