Dopo i recenti allontanamenti dal genere che meglio lo contraddistingue, operati con Roubaix – Une lumière e Tromperie, Desplechin torna a girare un family drama, dalla trama alquanto semplice: Louis e Alice Vuillard (cognome ricorrente nei film del regista), fratello e sorella, hanno da molti anni troncato il loro rapporto, separati da un odio profondo; i loro genitori, vittime di un incidente stradale, li rimetteranno, loro malgrado, sulla stessa strada costringendoli a un confronto. Attorno ai due gravitano altre vite, perlopiù quelle di parenti e amici (e un’ammiratrice), grazie ai quali i personaggi principali possono silenziare la collera e lasciare spazio a emozioni più delicate e al proprio lato più fragile.
Fin dalle prime sequenze, si rivela la portata dei sentimenti di rabbia e odio che scorrono per tutto il film. Il regista si adopera per svelare pian piano, ma mai del tutto, le cause scatenanti l’ostilità reciproca provata da fratello e sorella. Ne racconta la genesi, mostrando il (presunto) momento scatenante in cui si fa spazio il sentimento di tremenda gelosia nel cuore di Alice e fa intendere l’esistenza di altre possibili ragioni alla base dell’astio, ma soprattutto fa emergere il senso di assurdità, inutilità e perdita di tempo legato ai sentimenti di odio, ira e rancore che possono concretizzarsi in vere e proprie ossessioni e comportamenti inesplicabili e destabilizzanti. Desplechin non teme di denunciare la famiglia come luogo in cui si innestano le radici dei più violenti conflitti, dei grandi sentimenti che possono degenerare (non è, in fondo, l’odio una deviata o esagerata forma di amore?), dove può maturare il disagio psicologico e, quasi sempre senza volerlo, i genitori possono recare danni inimmaginabili alla progenie.
Il regista, coadiuvato dalla bravura degli attori, mette in scena il potere dei sentimenti negativi e colloca al centro due personaggi frustrati, narcisisti, egoici, nevrotici, mentalmente a pezzi. Quello di Alice, in particolare, nella vita privata così come nella professione di attrice, deve eccellere, ha alti target prestazionali da mantenere, è spinto da un senso di competizione e rivalità e segnato da un’emotività fragile e spezzata che tra urla, crisi di nervi, svenimenti, epistassi, risulta a tratti eccessivamente spettacolarizzata.
I protagonisti, nel corso della narrazione e di pari passo con il congedarsi dai loro genitori, vivranno una sorta di catarsi, mettendo in luce come l’emancipazione dai sentimenti negativi permetta di liberarsi come individui e conceda una seconda rinascita. E sarà un incontro/scontro casuale, tenero, buffo e imbarazzato, a segnare questo momento, a dissolvere in un istante la nube di rabbia feroce che per lungo tempo li ha sovrastati, strappando al contempo un sorriso di sollievo e di pace allo spettatore. Desplechin, costellando il lungometraggio di colte citazioni filmiche, ha realizzato un film intimistico che si sorregge sull’intensità drammatica dei legami familiari e sul ruolo che i tragici eventi ricoprono aiutandoci a riconnetterci lucidamente a ciò che più conta nella vita (solitamente, le piccole cose) e a ridimensionarci nella consapevolezza di essere, tutti quanti, nessuno escluso, “soltanto” esseri umani.
Loredana Iannizzi