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green border - locandina.pg

Green Border

Nel pieno della crisi migratoria strumentalizzata dal leader bielorusso Lukashenko, quattro storie si intrecciano e si sfiorano lungo il confine che divide la Bielorussia dalla Polonia, porta dell’Unione Europea. Una famiglia di siriani, in fuga verso la Svezia dove li aspetta un parente e una nuova vita, viene continuamente rimbalzata tra le due frontiere. Una giovane guardia di confine polacca, che sta per diventare padre, è scissa tra il proprio sentimento di solidarietà e il duro indottrinamento razzista ricevuto dai suoi superiori. Un gruppo di attivisti che soccorre i profughi deve agire sul delicato limite tra il legale e l’illegale. Una risoluta psicoterapeuta si trova di fronte alla morte e decide di intervenire in prima persona.

Green Border, l’ultima opera di Agnieszka Holland – importante regista polacca nonché sceneggiatrice per Andrzej Wajda e Krzysztof Kieślowski – è un coraggioso film che affronta con lucidità e coraggio la complessa questione dei migranti. Girata in un potente bianco e nero, l’opera dona voce a tutte quelle persone che in qualche modo si trovano coinvolte, volontariamente o meno, in un contesto al limite dell’umano. C’è chi spera di trovare finalmente una casa, chi trova piacere nel compiere soprusi, chi preferisce non intervenire, chi invece si fa coinvolgere totalmente dalla situazione e chi deve andare contro i propri principi.

Senza retorica, ma con grande realismo, Holland riesce a trasportare lo spettatore all’interno di una piccola zona di foresta che diventa metafora di troppe situazioni ricolme di ingiustizia e disumanità. Alternando le storie con perfetto equilibrio viviamo sulla pelle i dubbi e le fatiche, ma anche la speranza e il grande attaccamento alla vita, di chi attraversa un confine, il coraggio di chi prova a fare la propria parte e la cieca ottusità di molti. Non mancano le scene dure, non mancano purtroppo i momenti di dolore, ma abbiamo anche, per fortuna, occasione di vedere sprazzi di umanità e di forte solidarietà.

La regista opta per la sincerità e l’onestà, andando a colpire senza paura tutte le istituzioni coinvolte: non solo i governi bielorussi e polacchi, ma soprattutto le grandi contraddizioni dell’Unione Europea, realtà basata teoricamente sulla democrazia e l’accoglienza, ma in fondo poco coesa e troppo distante da molti problemi reali. Tante le domande che vengono sollevate, tanti i momenti kafkianamente avvolti su sé stessi e infinite le attese per vedere risolversi positivamente momenti che urlano orrore e violenza. La stanchezza, gli attimi di pace, l’ansia, la gioia, la sete e l’amore si fondono magnificamente fino al grandioso e lucido finale che pone l’ultima e più atroce questione: esistono quindi profughi di serie A e profughi di serie B? Holland ci dona la sua personale risposta lasciando a noi la responsabilità di prendere finalmente posizione al riguardo e di fare i conti con i nostri valori.

Marco Mastino

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