Io non so di viaggi, non so di mare / Non so di avventure, di eroi, di guerre, di terre lontane. / Neanche vicine. / Però so aspettare. / E ascoltare, il rumore del mare.
Sono otto quadri (otto “tele”) introdotti e conclusi da un prologo e da un epilogo – una sorta di canto per una Penelope impigliata nel limbo di un’attesa irrisolvibile. Si tratta di un monologo che scaturisce dalla condizione dell’attesa in senso più assoluto.
Sulla spiaggia di una possibile Itaca, Penelope sceglie di non morire cristallizzandosi nell’immobilità di quell’irrisolvibile condizione, e crea la propria odissea.
Otto quadri, otto tele, otto donne diverse, scaturite da una stessa matrice, vengono ricamate e tessute con la luce su un tulle che si fa telaio e schermo insieme. Si fa barriera ma anche superficie su cui inventare una storia. Su cui tesserla; e darle vita. Si fa luogo in cui il sogno diventa reale. E il reale si addormenta per lasciare posto al sogno.
Una Penelope sdoppiata, dunque:
– una, in carne e ossa, osserva l’orizzonte del mare che ha inghiottito il suo Ulisse, e sceglie di addormentarsi;
– l’altra, come un ologramma (una sorta di doppio eterico), si solleva da quella spiaggia, da quel torpore del tutto simile alla morte, e osa frequentare il cielo di sopra, e vive.
Un monologo che consente all’attrice di farsi Penelope capace di interagire con l’immagine di sé, di reinventarla, di farla immagine concreta che sfida, e risolve, la sorte che le era stata destinata.
Prologo: NELLE CONCHIGLIE C’E’ IL RUMORE DEL MARE
tela 1: PENSIERI DI UN’ABBANDONATA
tela 2: PENELOPE ALLA LUNA
tela 3: PENELOPE E UN’ALTALENA
tela 4: PENELOPE VENTRE DI LUNA
tela 5: I FIORI DI PENELOPE
tela 6: LA COSTELLAZIONE DI PENELOPE
tela 7: L’ABISSO DI PENELOPE
tela 8: TUTTO ERA MAGICO TRANNE IL MAGO
epilogo: IL POZZO DOVE FRANANO STELLE