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Disobbedire è guardare

Disobbedire è guardare: l’atto del guardare definisce nella sua essenza quello del disobbedire.

Fermarsi, prendere tempo, rallentare nei gesti e nei pensieri con il solo fine di perdersi nel guardare, e quasi mai nel vedere, è un lusso che, nella nostra epoca contemporanea, chi fa fotografia può comprendere bene per il suo enorme significato. Pertanto l’atto del guardare sospende ogni forma di giudizio e, ai più fortunati, consente l’accesso a nuove forme di visione e dunque di consapevolezze. Disobbedire è guardare significa fermarsi ad osservare se stessi ed il mondo come strategia per la comprensione e lo sviluppo. Il percorso ideato da Alessio Zemoz e grazie all’indispensabile contributo di Alexine Dayné e Cristina Gugnali si è fondato su queste semplici considerazioni e ha sviluppato una didattica articolata proponendo momenti teorici ed esperienziali, alternando lo studio di casi peculiari, la visione di libri e di sequenze di film documentari dedicati al lavoro dei maestri. Lo scopo dichiarato era quello di fornire gli strumenti soprattutto culturali per affrontare, per la prima volta nel caso di molti dei giovani, un percorso di ideazione, produzione e realizzazione di un oggetto fotografico da esibire.

L’aspetto decisivo da comprendere è che, per come impostato il percorso, non tutti i ragazzi hanno generato un prodotto da esibire, ma tutti quanti hanno risposto in maniera eccellente alle sollecitazioni alle quali sono stati sottoposti e hanno definito certamente un punto di partenza per quello che si prospetto un rapporto rinnovato con il mondo del fotografico. In questo senso la considerazione più rilevante è la crescita che chi scrive ha potuto riscontrare nei ragazzi: disobbedienza come presa di coscienza e dunque come assunzione di responsabilità. Tutte le opere in mostra sono frutto di decisioni prese dai singoli autori a seguito dei confronti collettivi e delle esperienze personali messe in atto. La più grande soddisfazione è vedere che il fotografico è stato compreso nelle sue più diverse peculiarità, forme e significati, ed assimilato secondo le identità precise di ciascuno regalando al pubblico una restituzione intelligente, profonda e decisamente inaspettata.

Le opere. Stampe Fine Art su carta cotone, allestimenti e cornici sono realizzati da Alessio Zemoz

Filippo Maria Pontiggia (2002) – Senza titolo

Hanhemhule Photo Rag Satin su Forex.

L’autore disobbedisce al formato del guardare, seguendo un ragionamento teorico particolarmente originale e attraverso una restituzione minimalista moderna e seducente. La grande qualità del lavoro di Filippo è che, nonostante il solido impianto teorico, egli è riuscito nel compito di integrare una notevole dimensione poetica che l’opera restituisce. Forma e contenuto sono in aperto dialogo: soluzioni estreme si incontrano in un luogo dell’anima che ciascun fruitore è invitato a ritrovare.

Alessandro Faccenda (1991) – Senza titolo

Stampa da laboratorio su carta fotografica.

L’autore disobbedisce sostanzialmente all’atto del fotografare. Il suo lavoro, infatti, ha a che fare con il concetto di fotografia come strumento della memoria: la ricerca d’archivio come indagine esplorativa sul sé, come specchio, e sulla propria relazione con il concetto di disobbedienza, come elemento interno all’individuo. Se disobbedire è guardare, allora ancora di più disobbedire è rivedere: rivedere se stessi e la propria storia, individuale e collettiva, per comprendere chi siamo. Il progetto è poi arricchito dalla spiccata ironia e dalle inversioni di senso: è la fotografia che guarda noi, non il contrario.

Vladimir Cuaz (1990), Richard Sintoni (1990) e Sara Gaudio (1992) – Senza titolo
align=”JUSTIFY”>Hanhemhule Photo Rag Bright White.

Gli autori hanno lavorato in gruppo confrontandosi sul difficile terreno della fotografia allestita. In questo senso, essi hanno messo in scena, hanno simulato, hanno disobbedito allo stereotipo della fotografia come porzione di realtà. Così facendo, essi hanno anche disobbedito allo stereotipo della fotografia come veicolo di senso: essi invitano il fruitore a ragionare sulla visibilità e sulla superficialità della disobbedienza attraverso un’opera che toglie punti di riferimento piuttosto che offrire punti d’appoggio. L’opera ha un linguaggio semplice ma risulta vibrante e incerta, oltre che vagamente surreale, proprio come lo sono il senso, le persone, le cose, le relazioni, la politica, il sociale, l’informazione, e tutto quanto il resto insomma: la vita.

Come emerge dalla descrizione, la disobbedienza ha trovato espressione in forme e modalità di approccio molteplici, dando vita ad un prodotto espositivo di livello. La qualità della mostra, l’importanza che chi scrive attribuisce dal punto di vista personale al percorso condiviso, ed il piacere di essere parte di questo gruppo di ragazzi hanno stimolato il desiderio di partecipare alla restituzione con un pezzo inedito: anche io sono stato coinvolto nel processo relazionale e creativo e pertanto disobbedisco al ruolo, come ho sempre fatto, e mi colloco sullo stesso piano degli autori in mostra.

Alessio Zemoz

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