A distanza di nove anni dal suo ultimo pluripremiato lungometraggio, Holy Motors, il regista francese Léos Carax realizza un film che desiderava da tempo: un musical, atipico nella forma e non convenzionale nella trama, come c’era da aspettarsi da un cineasta originale, amante della sperimentazione e visionario come lui.
Adam Driver e Marion Cotillard sono Henry e Ann, entrambi artisti. Lui, attore della profana, dissacrante e provocatoria stand-up comedy, la Scimmia di Dio (espressione con cui si riferiscono a Satana alcuni testi cristiani) che punta a far morire dalle risate i suoi spettatori; lei, soprano in sacre, pure e culturalmente elevate opere liriche, dea e regina, si sacrifica morendo sulla scena per salvare catarticamente il suo pubblico. Opposti e complementari, inaspettatamente si innamorano e mettono al mondo una bimba speciale. La sceneggiatura, scritta e musicata dal duo americano Sparks, costellata da metafore, simboli, archetipi, riferimenti religiosi e fiabeschi (come la mela di Biancaneve, la marionetta Pinocchio, l’amore tra La Bella e la Bestia), mescola realtà e finzione, trasforma i pochi dialoghi in canzoni e colora le immagini di verde, rosso e giallo, riflettendo rispettivamente gli umori e i caratteri di Henry, Ann e della piccola Annette.
La storia d’amore dei due famosi artisti è spettacolarizzata e preda del pettegolezzo, che da una parte nutre l’egocentrismo e la vanità dei protagonisti, ma al contempo vìola uno spazio privato e intimo, scandendo, con notiziari gossip, come atti di un’opera teatrale, le tappe della relazione.
Al crescente successo di Ann si affianca l’inarrestabile fallimento di Henry, e la sua conseguente paura dell’oblio e del mancato riconoscimento, al punto da spingerlo a sfruttare le doti speciali, ed ereditate dalla madre, di Annette, nel tentativo di arginare il proprio declino artistico.
Un film che affronta da subito il tema della paternità, con il regista che, nella scena iniziale, in compagnia di sua figlia dà il via ai personaggi e alla storia, fino alla commovente scena conclusiva. Carax non teme di mostrare un legame genitoriale inquinato dall’egoismo, in cui i figli, più posseduti che amati, sono considerati, da chi li ha messi al mondo, realizzazioni del proprio talento, strumenti di cui servirsi, giocattoli da sfruttare per i propri scopi. E ancora, riflessioni sull’arte e l’essere artista, temi oscuri come la violenza sulle donne (e il non troppo velato richiamo al fenomeno del MeToo), la vendetta, la gelosia, il (mancato) perdono.
Annette è un film evocativo, sorretto da un cast di attori che si rivelano bravi cantanti (per lo più registrati dal vivo) e diretto in maniera accattivante (tanto da far conquistare a Carax il premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2021): onirico e affascinante, surreale e grottesco, gotico e tragicomico, inquietante e spettacolare, ricco di sequenze di una bellezza sublime e suggestiva, un film che, su invito iniziale del regista, impone di trattenere il fiato e rimanere in silenzio, lasciandosi catturare e ipnotizzare dalla musica e dalle immagini.
Loredana Iannizzi