Cléo è una cantante in attesa di sapere se è malata, se ha un cancro. Il film racconta come trascorre le ore aspettando l’esito delle analisi, precisamente nel lasso di tempo che va dalle 17:00 alle 19:00, ora, quest’ultima, in cui deve contattare il medico per conoscere la propria sorte. Oltremodo superstiziosa, la donna alle 17:00 si reca da una cartomante: sulla tovaglia rosso scuro della modesta casa di quest’ultima, viene scoperta la carta dello scheletro fatto a pezzi, presagio di morte. Una sensazione mortifera accompagna così Cléo nel suo girovagare per Parigi, tra incontri casuali con artisti di strada, baristi e com- messe che vendono cappelli. La morte, il dolore, la malattia come sfregio del corpo sono assiduamente e violentemente reiterati. La protagonista, nell’ordine, è spettatrice: dell’esi- bizione di un uomo che ingoia rane vive; di un altro che si buca un braccio con uno spillo- ne; della scena di un omicidio appena avvenuto (una vetrina con un foro di proiettile e un’anziana ferita). Lei stessa rompe poi uno specchio (altra tradizionale premonizione di morte) e afferma, verso la fine, che “la nudità è malattia e morte”.
La regista Agnès Varda ragiona in quest’opera anzitutto intorno al tempo, incasellandolo in capitoli di alcune manciate di minuti della vita (angosciata, sconvolta, ma ancora vita) di Cléo, con l’intento, sembrerebbe, di esorcizzare il sentimento incontrollabile della paura proprio dando ad essa una struttura, un ordine controllato. Se da un lato il tempo reale vie- ne marcatamente esplicitato, dall’altro non è però quello percepito, vissuto dalla protagoni- sta. Come dichiara Varda in alcune interviste, sono presenti due tempi nel film: vi è la messa in scena anche di un tempo soggettivo, sfuggevole alla rigorosa successione di se- condi, minuti, ore, imbrigliato com’è nelle emozioni. Per Cléo, ogni minuto appare lunghis- simo, un’inesorabile escalation ansiosa.
Il viaggio introspettivo della cantante, contraddistinto dall’attesa della morte, apre la strada al cambiamento, rappresentato simbolicamente, a circa metà film, dal mutamento di sguardo: Cléo si specchia nella vetrina di un déhor, si toglie quasi con disprezzo il cappel- lo appena comprato, non è più una donna guardata (insistentemente, dai passanti, dai suoi collaboratori, dal suo amante) ma è ora una donna che (si) guarda (dentro). Cléo dal- le 5 alle 7 è anche un’opera di ribellione, di riscoperta di sé: dopo la notizia della malattia, Cléo non è più disposta a esibirsi senza essere d’accordo sulle parole da cantare, a esse- re superstiziosa incondizionatamente perlopiù perché lo è la sua assistente Angela, a es- sere l’amante accondiscendente di un innamorato distratto.
Pressoché unica opera celebre della Nouvelle Vague diretta da una donna, Cléo dalle 5 alle 7 ha reso famosa Varda in tutto il mondo, diventando col tempo un vero e proprio cult del cinema moderno degli anni Sessanta, di quel cinema del quotidiano splendidamente girato.
Carolina Zimara