Due persone, due vite, un amuleto, la natura: sono questi gli elementi principali, si potrebbe dire quasi primordiali, che compongono, come in un affresco rinascimentale, le sequenze di Divinazioni, film documentario di Leandro Picarella. Il film è la storia parallela di Achille, un vecchio dalla fama di cartomante, conquistata dispensando consigli e vaticini nelle televisioni locali siciliane (forse anche in virtù d’una fisionomia telegenicamente favorevole, che rimanda subito a un suggestivo mix tra Telly Savalas e Cornelius Castoriadis), e di Moka, giovane artigiano marocchino. Il mago Atanus – nome d’arte di Achille – è da poco uscito di prigione e cerca, non senza fatica, di fare il suo rientro nel consorzio civile rimettendo a valore le sue capacità divinatorie. Moka sembra aver trovato invece la sua dimensione professionale e sociale nella lavorazione e fusione dei metalli: attività che assume un connotato altamente simbolico, magico addirittura, grazie all’utilizzo sistematico e quasi liturgico del fuoco e alla trasformazione della materia. Le loro storie costituiscono due narrazioni indipendenti per la quasi totalità del film, solamente alla fine troveranno un contatto, un incontro: non fisico ma, nella condivisione di un sentimento panico con la natura (grazie anche a un bracciale appartenuto ad Achille e poi ritrovato da Moka), schiettamente e sublimemente spirituale.
Il rapporto tra l’umano e il divino, e la magia come suo canale d’espressione, sono gli assi portanti di questo film, presentato al Festival dei Popoli di Firenze. La suddivisione in due capitoli dell’opera restituisce esattamente il senso e la portata di questa relazione che da sempre coinvolge l’essere umano e lo costituisce: prima ci sono le cose del mondo e la “natura degli uomini”, come appunto recita il titolo del primo capitolo, poi ci sono le cose divine, il cui accesso può passare attraverso quelle “purificazioni” – titolo del secondo capitolo – che permettono ai due protagonisti, in un unico afflato mistico-religioso che non distingue tra paganesimo e cristianità, di alzare “gli occhi alla natura divina” (una delle ultime frasi dell’opera). In una sorta di prosecuzione cinematografica della ricerca demartiniana su “sud e magia”, il regista offre uno spaccato del variegato e affascinante mondo della superstizione e delle credenze popolari del sud Italia, un mondo nel quale la cartomanzia e la magia fungono molto spesso, nelle periferie messinesi e palermitane di oggi, più da ammortizzatore sociale-emotivo che da mezzo di contatto col trascendente.
Enrico M. Zimara