La scena si apre su uno dei più tipici scorci domestici, che spesso faranno da sfondo a molti dei momenti importanti del film: un grande giardino assolato, un bambino che nuota felice nella lussuosa piscina di casa ed una dolce e amorevole figura, avvolta nella sua divisa bianca, che lo guarda e lo accudisce piena d’affetto e ammirazione. L’affetto, indubbiamente sincero ed incondizionato, ha però in realtà come vero destinatario un altro soggetto, un altro bambino, che non potrà essere presente nella vita di questa donna per molti anni ancora, e che lei non si stancherà di aspettare per poterlo finalmente ritrovare e amare, come da sempre avrebbe voluto. Se solo questo fosse il tema del film sarebbe una semplice storia, come tante altre se ne son viste, sul rapporto tra un genitore ed un figlio, mai vissuto ma poi ritrovato. C’è invece qualcosa che rende più complessa ed articolata la vicenda, la arricchisce e le dà sostanza. Non c’è solo il legame tra mamma e figlia che viene sviluppato, ma anche tutto ciò che si muove attorno a questo; una narrazione giocata su più fronti, il cui filo conduttore è il classico tema dell’amore declinato però da un’interessante prospettiva sociologica, che ravviva e rinvigorisce alcuni schemi narrativi altrimenti un po’ rigidi e ripetitivi.
Un film sull’amore materno o sull’amore sotto ogni sua possibile coniugazione, ma ciò che ci viene presentata è una storia che scende un po’ più nelle profondità di questi legami, vuole arrivare al livello dell’analisi per non incagliarsi nella sola descrizione. E nel far questo il film non indulge certo ad atmosfere pesantemente introspettive o a dimensioni nebulosamente astratte e sofisticate. L’andamento è lineare, progressivo, quasi dialettico, con quelle tipiche ripetizioni nei dialoghi, che spesso si incontrano nei telefilms sudamericani e che producono uno strano effetto di calma e ieraticità, sottolineato in questo caso anche dalla pacatezza dei toni e moderatezza dei personaggi. Ecco allora il rivelarsi della consistenza di questa trama, nel suo significato etimologico di sistema di relazioni che si mostrano sempre più fitte e sfumate, dai quali emerge una vera e propria visione di insieme, una prospettiva quasi olistica dove a contare sono principalmente le correlazioni, le interdipendenze e le causalità che intercorrono tra gli elementi di questi rapporti: l’amore della protagonista per sua figlia e per il figlio della famiglia per la quale lavora (che mette in campo il tema dell’affettività genitoriale), confrontato con quello piuttosto inibito della madre naturale, l’atteggiamento ambiguamente affettuoso del padrone di casa nei confronti della nuova arrivata, e la reazione quasi anaffettiva di quest’ultima nei confronti di tutti. Tutto questo complica e approfondisce il significato che questo film vuole dare alla parola amore, tentandone una rinnovata definizione che ne restituisce i pregi e i difetti e che contribuisce ad una riflessione critica ma nello stesso tempo realistica.
Di Enrico Zimara