Nell’estate che vede il compimento dei suoi dieci anni, Vittoria scopre di avere due madri: Tina, interpretata da Valeria Golino, matura e premurosa, è presente al punto da rendersi soffocante; Angelica, che ha il volto di Alba Rohrwacher, madre biologica della bambina, non potrebbe essere più diversa, emotivamente fragile e volubile, perennemente alle prese con i disordini di una vita scombinata. Una volta infranto il patto silente che legava le due donne, Vittoria si trova contesa tra due madri, che sembrano sfidarsi in un continuo duello western per affermare la propria idea di maternità e prevalere finalmente sulla rivale. Apparentemente in conflitto, le due protagoniste trovano nel susseguirsi degli eventi una loro complicità, muovendosi all’interno di un universo al femminile connotato dalla quasi totale assenza della figura maschile.
La macchina da presa di Laura Bispuri segue il movimento continuo delle protagoniste, che sembrano danzare al ritmo di una coreografia armonica e studiata per restituire all’occhio dello spettatore il triplo punto di vista presente all’interno della storia, in un flusso continuo reso dalla regista attraverso i piani sequenza con cui scrive il film. La stratificazione dell’immagine tenta così di restituire il lungo lavoro compiuto sulla sceneggiatura, frutto delle numerose riletture svolte da parte della stessa regista in collaborazione con la penna di Francesca Manieri. La ricerca che Laura Bispuri compie direttamente in loco emerge qui prepotente dallo schermo: tanto è infatti lo spazio che la Sardegna sud-orientale del Supramonte, divisa tra un’anima di terra e una di mare, conquista sulla scena, mostrando con prepotenza la propria iconica bellezza e conquistando non solo l’occhio della critica straniera, ma anche quello più allenato del pubblico italiano. Ambientata in una calda estate mediterranea, la storia si pone dunque in netto contrasto con l’opera prima della regista, Vergine giurata: ambientato nel corso di un freddo inverno innevato, il film indaga, duranteil lungo viaggio che dall’Albania la conduce in Italia, la solitudine di una donna oppressa e costretta a fingersi uomo.
Unico film italiano ad essere presentato in concorso alla 68ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, Figlia miaporta alla Berlinale Laura Bispuri per la seconda volta, proponendo una nuova versione della figura femminile, che nel suo cinema si distingue per la propria natura imperfetta, ma indipendente, capace di abbattere gli stereotipi. Vittoria, che nel film compie un percorso di ricerca dell’identità, che necessariamente la obbliga ad andare incontro alla morte, seppur metaforica, per abbracciare la propria rinascita, ne è l’emblema: divisa tra sicurezza e libertà, riscrive la propria storia attraverso il linguaggio sintetico e al tempo stesso esibizionista scelto dalla regista.
di Valeria De Bacco