Gagarine è un’opera ibrida, una specie di docu-film: è l’esito dello sviluppo di un omonimo cortometraggio risalente al 2015, anno in cui i due registi hanno intervistato le famiglie che ancora abitavano nel complesso residenziale di Ivry-sur-Seine, la periferia “rossa” di Parigi, la cui demolizione era in fase di definizione (terminando poi nel 2020). E poi, in apertura, ci sono le immagini di repertorio, che vedono l’astronauta sovietico Yuri Gagarin inaugurare nel 1963 la Cité Gagarine, simbolo di modernità legato al comunismo. I registi danno vita a un’opera di forte realismo impregnato di fantascienza, al punto da confondere lo spettatore, costretto ad alternare il suo sguardo tra quello che accade intorno a Youri e quello che succede nella sua testa. L’immaginazione si confonde con la cronaca, le tonalità di blu, predominanti, sono squarciate o sostituite dal colore rosso legato ai momenti del sogno, onirici, e dello spazio (ma anche ai mattoni di Cité Gagarine).
Il personaggio di Youri, nomenomen, oltre che il nome, con l’astronauta russo ha in comune la passione per il cielo e la voglia di raggiungerlo. Al contempo, però, è fortemente radicato al luogo in cui vive e legato alle persone con cui condivide lo spazio sulla terra. Uno sprazzo di sogno, Youri tenta di costruirlo in quello stesso luogo che non vuole abbandonare e che tenta di salvare in ogni modo, dando vita a una stazione spaziale su terra e mettendo in atto una vera e propria missione di salvataggio, il cui grido si trasforma in un messaggio di SOS luminoso proiettato di fronte a una folla in attesa dell’armageddon. Le riprese ruotano attorno all’immobile come a voler percorrere un’orbita, lentamente, accompagnate da suoni ovattati e musiche liquide, che rimandano all’immaginario dei veicoli spaziali. I passi cadenzati lasciano impronte sulla neve e rievocano le immagini del primo uomo che ha messo piede sul suolo della luna, nostra “vicina di casa”.
Bel ventaglio di umanità ed etnie, persone accomunate da uno stesso destino, il degrado e la decadenza di quello che è stato uno dei simboli dell’urbanizzazione e della modernità architetturale.
Un film incentrato e ambientato nella banlieu parigina rappresentata, a differenza di quanto siamo abituati a vedere, come luogo di vicinanza e comunità, capace non solo di riservare violenza e disagio a chi la vive, ma anche comunanza e un senso di identità condivisa.
Alseni Bathily, interessantissimo attore esordiente, sostenuto da un cast di volti noti altrettanto valido, restituisce l’immagine poetica e magica di un contemporaneo cosmonauta adolescente, che sceglie di combattere e tutelare ciò che gli è caro (il sottotitolo del film è “proteggi ciò che ami”) prima di spiccare (letteralmente) il volo e inseguire i suoi sogni, oltre a un nuovo e giovane amore: per aspera ad astra, attraverso le difficoltà per raggiungere le stelle.
Loredana Iannizzi