Remember this house, manoscritto consegnato incompiuto dalla penna del celebre scrittore e poeta afroamericano James Baldwin, costituisce il cuore pulsante dell’opera cinematografica realizzata dal regista Raoul Peck, già noto agli ambienti della critica per i suoi precedenti lavori: L’homme sur les quais, infatti, si contraddistingue da subito per la sua capacità di colpire nel segno, conquistando una posizione di tutto rilievo come primo film caraibico della storia del cinema ad essere presentato al Festival di Cannes. Il regista torna sul grande schermo con un lungometraggio originale ed intenso, che pesca non solo tra le pagine della memoria di Baldwin, ma nella storia di un’intera nazione.
L’opera, che prende le mosse dalle parole dello stesso Baldwin, delicate come le note di un blues grazie al timbro caldo e rauco di Samuel L. Jackson, che ne diviene l’interprete, affronta in termini biografici l’ancestrale lotta tra il bene e il male, che qui diviene scontro tra i bianchi ed i neri, rileggendo a distanza di anni l’impegno profuso nei confronti dell’emancipazione razziale da figure dimostratesi fondamentali nel dibattito sulla segregazione statunitense e non solo. Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King Jr diventano dunque, tra le mani sapienti del regista, i protagonisti perfetti per raccontare non solo a proposito della loro tragica morte, ma anche, in parallelo, di un’altra difficile condizione di soprusi, quella vissuta dall’isola di Haiti, figlia orgogliosa della lotta per l’indipendenza coloniale.
Peck, e con lui lo stesso Baldwin, si rivolgono, allora come oggi, non solo alla potenza colonialista statunitense, vittima della più cupa incapacità relazionale, ma all’occidente tutto e alla sua necessità di riconoscere nell’altro da sé il nemico e l’intruso. È ponendo l’accento su questo sentimento universalmente condiviso dalla condizione umana che l’opera spinge a riflettere, dimostrando come, nonostante quasi trent’anni separino dalla sua morte, Baldwin non smette di restituire un’immagine ferma e lucida del presente, delle sue più scomode contraddizioni, che dividono l’occidente del mondo tra rabbia e senso di colpa. I materiali d’archivio si mescolano al girato originale, per fondersi in un nuovo capolavoro, che è stato candidato al Premio Oscar 2017 come miglior lungometraggio documentario.
Non è certo un caso se, nell’anno in cui Moonlight si è aggiudicato la statuetta come Miglior Film, quest’opera ha potuto godere di grande rilievo. È, forse, più opportuno registrare la svolta che l’ambiente cinematografico internazionale sta operando verso tematiche che, seppur da sempre protagoniste del grande schermo, vedono in quest’ultimo anno un rinnovato vigore e una nuova attenzione mediatica. Il cinema, sembrano dirci i due autori in quest’ideale opera corale, mezzo che per antonomasia può immortalare la realtà e i suoi aspetti più contraddittori, deve tornare a riscoprire la necessità di interrogarsi sui fatti del mondo e di continuare a cercare le risposte, anche laddove l’uomo ha preferito calare il sipario.
Valeria De Bacco