Dopo il successo di Gronzy Blues (candidato all’European Film Award come miglior documentario), Nicola Bellucci torna sul grande schermo osando con il suo primo film di finzione Il mangiatore di pietre, adattamento dell’omonimo romanzo di Davide Longo, presentato alla 36a edizione del Torino Film Festival e al Trento Film Festival 2019.
Il film è ambientato sulle montagne piemontesi, al confine tra Italia e Francia, dove il silenzio delle valli fa da padrone all’intera vicenda. Qui si colloca il disilluso racconto sull’esistenza di Cesare, interpretato da un sorprendente e intenso Luigi Lo Cascio, nei panni di un ex contrabbandiere. L’uomo, contraddistinto da una profonda solitudine interiore, si trova ad indagare sull’omicidio di Fausto, suo nipote e allievo. A fargli da spalla è il giovane Sergio, figlio di un pastore severo dedito esclusivamente al suo lavoro. Il ragazzo si imbatte in Cesare e a lui affida la sua formazione, in un percorso di vita che lo conduce, come il suo maestro, ad aiutare gli altri nella ricerca di una risposta al dolore della vita. Il passato di Cesare, così come il suo legame con Fausto, si svelano mano a mano grazie alle fila di un intreccio che ripercorre, a partire dal flashback di apertura, gli attimi salienti di una vita e di un amore, quello per la moglie Adele, che hanno forgiato il Cesare burbero e impassibile conosciuto dalla comunità. Sulla strada verso la verità, Cesare si imbatte nella complessa figura dell’ispettrice Sonia di Meo, unico personaggio femminile significativo, interpretato da Ursina Lardi, e in quello di Peppe Servillo, nei panni di un mafioso locale.
Il lungometraggio si districa tra un duplice punto di vista, quello del protagonista e di Sergio, in un richiamo alle terre di frontiera che fanno da sfondo all’intera vicenda. Il confine è quello dei protagonisti divisi tra presente e passato, costretti al mutamento dello stato di inerzia iniziale, ma è anche la contrapposizione tra gli stati d’animo a cui fanno fronte i due protagonisti. Significativa è l’ambientazione dell’opera, che si tinge di toni cupi in un paesaggio, quello montano, ritratto principalmente durante fenomeni atmosferici perturbati e nelle ore notturne. La luce appare fioca e soffusa, in un richiamo al genere a cui il film ambisce, e funge da contrasto con il candore della neve e il freddo del ghiaccio, protagonisti sulle montagne.
Il mangiatore di pietre è un film noir che dissacra il genere rielaborandone le caratteristiche principali, a partire dalla dilatazione del tempo della vicenda a favore di un ritmo contemplativo che strizza l’occhio al passato dell’autore come regista di cinema di realtà. Nicola Bellucci, infatti, si dimostra inevitabilmente attratto dallo stile del racconto del reale che scruta gli incredibili paesaggi naturalistici delle valli piemontesi, contrapponendosi all’indagine sulla dimensione umana, semplice e umile, che pertiene alla gente di montagna e ad uno stile di vita che richiama tempi passati.
Francesca Ciaffi