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Il patto del silenzio – Playground

Il Patto del Silenzio – Playground è costruito su misura di bambino, che gioca tutto puntando all’immedesimazione totale nella sua piccola protagonista, Nora, riuscendo a trionfare grazie ad una regia capace di far brillare attitudini attoriali di bambini. Laura Wandel realizza un’opera prima muscolare e convincente che riesce ad immergere il pubblico all’interno del proprio bambino interiore attraverso una storia che non aspira a sorprendere con l’intreccio e le svolte incredibili, ma a rimanere attaccata alla memoria con l’intensità di emozioni infantili probabilmente dimenticate. Come Ozu, la regista posiziona la macchina da presa sugli occhi dei suoi protagonisti. Gli adulti sono creature grandi, lontane, sfocate, che fanno parte di un altro mondo. Se ne vedono le mani, si avvertono le presenze, ma restano ai margini. Dovrebbero intervenire, delineare le regole, ma non ci riescono. I piccoli appartengono ad un universo e i grandi ad un altro. C’è poco dialogo, non si riesce a comunicare. Non si può tradire il proprio gruppo. Lo scontro generazionale è selvaggio. Il patto del silenzio, appunto.


La scuola diventa una battaglia da sconfiggere e i banchi sono trincee. La regia dinamica e feroce, la fotografia fredda, il ritmo serrato, lunghi piani sequenza non danno scampo ai comportamenti delle piccole vittime. Tutti perdono l’innocenza, gli angeli e le vittime si ribaltano in carnefici. Laura Wandel appartiene alla generazione dei registi come Lukas Dhont, a una produzione attenta ai sentimenti, ai rapporti tra gli esseri umani e in effetti questo suo primo film è molto affine a Close. Seppur quest’ultimo sia più rigoroso, il loro è un cinema speculare, simmetrico. Il Belgio ci avverte sul futuro: siamo una società incapace di ascoltarsi che evidenzia una frattura netta tra il passato e il presente e dove, purtroppo, domina la legge del più forte.

Una regista che dimostra una personalità e un coraggio notevoli, schierandosi dalla parte degli indifesi, affrontando temi delicati e rifiutando luoghi comuni ed è per questo che il film è stato largamente applaudito ed apprezzato al Festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard. Una frase importante che si sente dire è “Quando aiuti gli altri, le cose peggiorano”. Non c’è spazio per il buonismo, l’attacco è al quieto vivere. Ed infine, tutto viene racchiuso in un’unica definizione come chiave di lettura. “Che cos’è il razzismo? I razzisti sono persone che pensano solo a loro stesse”. Non ci si ferma all’integrazione, al colore della pelle. Si tratta di qualcosa di più profondo, legato a leggi antiche, a un’umanità che ogni giorno rischia di perdersi. Una gemma teneramente spietata, colma di piccoli drammi insostenibili ma illuminata dalla dolcezza dei suoi protagonisti.

Alexine Dayné

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