Un’opera piccola, semplice, intima, profonda e allo stesso tempo vivace dove la fantasia incontra la realtà, e i personaggi con le loro storie si dimenticano le proprie radici. Forse siamo un po’ noi che, molto spesso, non ci ricordiamo da dove proveniamo e l’importanza di cosa ci circonda.
Laurent è un principe anziano che viene trovato su una spiaggia. Il giovane Tom lo trova, un orfano adottato da una coppia di scienziati: il professor Abervrach e la biologa Elisabeth. I due sono stati banditi dalla città perché convinti che, al di là del mare, ci sono altri popoli scimmieschi. Laurent scoprirà il potere di una città altamente tecnologica, comandata da una classe di “intellettuali” che nel loro etnocentrismo si ritengono gli unici esseri civili al mondo.
Quest’opera si coniuga a Scimmie come noi, dello stesso Laguionie di quasi vent’anni fa.
I due prodotti condividono lo stesso universo di scimmie antropomorfe. Ognuno è incarnazione di una sfumatura dell’essere umano. La scimmia ci sostituisce, un po’ come ne Il pianeta delle scimmie, ma nel ribaltare la “specie” non si ribaltano comunque quelle emozioni che ci caratterizzano. Il diverso, la scimmia, è la metafora per raccontare il confronto con le diversità, con l’altro. Una diversità che non deve incontrare barriere, ma unioni. Da una parte o dall’altra interviene sempre il giudizio, la presunzione di assoluta conoscenza e superiorità rispetto all’altro.
Laguionie e Picard ci parlano di razzismo senza mai citarlo, di accettazione di sé e dell’altro e di una natura inascoltata. Il piccolo Tom guarda il mondo con occhi colmi di curiosità, privi di giudizio malevole ed egli rappresenta la nuova generazione che, divincolata dalle catene della precedente, trova il suo scopo e la sua vocazione. È lui a riscoprire il contatto con la natura, ad ascoltarla. Invece, Laurent è colui che cambia, impara, ma rimane fedele a sé stesso: una persona in cerca d’avventura.
L’animazione è ben realizzata, come la caratterizzazione dei personaggi e si sussegue fluida, come i movimenti dei suoi personaggi. A partire dal tema simbolico del viaggio come occasione di scoperta e di conoscenza dell’altrove, i registi usano lo schema classico della favola, lo stile tradizionale che rimanda alla materia e alla terra, di matrice antirealistica, e la potenza filmica attraverso una scena che ci ricorda tanto King Kong e la nascita della settima arte.
Il viaggio del principe è immerso nell’attualità, compresa la critica alla società dei consumi orientata all’appagamento dell’esigenza personale e non collettiva in rapporto con la dialettica tra natura e uomo. La città, infatti, appare intrappolata tra l’espansione naturale di una foresta percepita come ostile e selvaggia e il vorace espansionismo urbanistico di una civiltà convinta di essere sola al mondo al punto da non rendersi conto di non vedere più il cielo perché oscurato dalle fronde.
Alexine Dayné