Durante l’infanzia e l’adolescenza, Thomas Vinterberg ha realmente vissuto con i genitori in una comune ed è per questo che il regista può essere identificato fin da subito con i due non adulti del film: l’adolescente Freja e il bambino Vilads, malato di cuore. Freja e Vilads osservano i grandi silenziosamente e sono lo sguardo e la memoria del Vinterberg bambino. Una famiglia composta dall’architetto Erik, dalla giornalista televisiva Anna e dalla loro figlia adolescente Freja, eredita una vecchia casa troppo grande e dispendiosa per tre sole persone. All’inizio vorrebbero venderla, ma poi Anna propone di andare a viverci con altre persone e condividere le spese.
Basato su un’opera teatrale, La comune racconta fatti dolorosi, in maniera non troppo tragica, mettendo in scena l’utopia appassionata e ingenua di una generazione, e parallelamente il destino segnato come quello di Vilads. Vinterberg ritrae in modo appassionato e partecipe i suoi protagonisti e le sue storie mettendone in luce anche tutte le fragilità e le contraddizioni, capaci di lasciare segni dolorosi nelle vite dei singoli. Anna è proprio colei che innesca la vita comunitaria, spingendo il marito alla scelta di mettere a disposizione la grande casa di famiglia. Sarà questa condizione a creare il triangolo doloroso e amoroso tra lei, suo marito Erik e la nuova ragazza di quest’ultimo, la giovane studentessa Emma.
Dopo Festen, realizzato secondo il manifesto estetico Dogma, Il sospetto e l’adattamento letterario Via dalla pazza folla, Vinterberg torna a farci riflettere sulla complessità dell’animo umano e sul fascino (ma anche sul’inconsistenza) di alcune utopie. Infatti i protagonisti finiranno, nonostante le dichiarazioni, con lo smarrire in tutto o in parte la possibilità di guardare veramente avanti. Seppure il loro desiderio sarebbe quello di rinnovarsi, si ritroveranno con il diventare conservazione di se stessi. Trine Dyrholm, che interpreta la moglie di Erik, vincitrice dell’Orso d’Argento all’ultimo festival di Berlino, è stanca di avere intorno il marito e decide di abbandonare tutte le strutture tradizionali seguendo le idee del momento. Anna vive nell’ambivalenza dove da una parte c’è la possibilità e la volontà di decidere che i rapporti abbandonino il senso del possesso e dall’altra il sentimento dell’assenza e la fine dell’amore provocano un senso irrazionale di sconforto. Un film sul passare del tempo e sulla perdita, dove l’amore finisce, le persone muoiono e all’improvviso ci si rende conto di aver perduto ciò che si possedeva. Trine incarna in maniera perfetta la disperazione di una donna che, annoiata, va in cerca di nuove emozioni per scordarsi che sta invecchiando. Il senso “comune” di questo film si potrebbe avvicinare (diventandone metafora) al Movimento del Dogma che con Lars von Trier e altri autori hanno svecchiato il cinema danese: all’inizio l’idea che esistesse un gruppo con regole precise ed espresse su un manifesto sembrava forte e solida ma alla fine si è sgretolata.
di Alexine Dayné