Siamo nella Francia di oggi e ciò che viene messo in scena è ciò di cui si parla di più: la crisi economica. Thierry è a metà della sua vita, ha una moglie bionda che lo trascina a corsi di balli country, un figlio disabile che sogna di studiare ingegneria e un appartamento di proprietà. E’ disoccupato da più di un anno e, dopo inconcludenti stage ed estenuanti colloqui di lavoro, trova infine un impiego come addetto alla sicurezza di un ipermercato che però sembra comunque non fargli tornare il sorriso sul volto, ormai indelebilmente segnato dalla rassegnazione.
Rassegnazione che sembra essere il sentimento dominante anche in tutte le altre figure del film (dagli impiegati dell’ufficio di collocamento alle cassiere dell’ipermercato), il quale si propone a tutti gli effetti come un film di denuncia e di ripresa di realtà nella sua manifestazione più diretta e il meno possibile manipolata. Infatti, eccezione fatta per i protagonisti, il casting è composto da persone che nella vita di tutti i giorni hanno le stesse mansioni che interpretano sullo schermo e, non a caso, il regista ha deciso di utilizzare una tecnica di ripresa per così dire documentaristica nell’intento di conferire un senso maggiore di realismo alle immagini che rimangono comunque di finzione: camera a mano, luci rigorosamente naturali, sgrammaticature nella messa in quadro, recitazione misurata. Ma c’è di più.
Lo sguardo mobile e traballante della macchina da presa non può non ricordarci i numerosi horror (da The Blair Witch Project fino a Rec) che della ripresa documentaristica e amatoriale hanno fatto un segno distintivo utilizzandola come innesco fondamentale della sensazione di paura, semplicemente mostrando (o mostrando in parte) l’inguardabile. Mutuando le tecniche proprie di questi film, La legge del mercato vuole forse chiamare in causa lo spettatore, costringendolo a guardare l’orrore non di presenze oscure (consolatoriamente lontane) ma l’orrore prossimo, incessante, dell’umanità alle prese con l’unico Dio che sembra adorare, il dio Mercato. Siamo così costretti ad assistere, increduli e imbarazzati, agli agghiaccianti colloqui di lavoro via Skype o ancora alle spietate critiche del personale dell’ufficio di collocamento nei confronti dei disoccupati, giudicati totalmente inadatti nelle simulazioni dei colloqui di lavoro. Le immagini della vita quotidiana che scorrono sullo schermo traggono così il loro significato orrorifico e drammatico nella loro stessa stucchevole rappresentazione realistica, nel loro essere mostrate a noi spettatori che della loro drammaticità o ne siamo incuranti o non ne abbiamo più memoria.
Presentata in concorso al Festival di Cannes 2015, l’opera, seppur realista, non vuole però essere neutrale e assume così una posizione netta nei confronti della legge brutale del mercato, incarnando in Thierry (Premio Miglior Attore Protagonista) i principi di una solida morale contro il godimento consumistico del mercato, che si concretizzerà però, in punta di piedi, solo nell’inaspettato atto finale.
di Carolina Zimara