Cos’è la vita se non un intreccio di storie? È così che inizia Le buone stelle – Broker: una ragazza madre, due broker, un orfano e due poliziotte. Personaggi che dall’esterno sembrano non avere un filo comune che li collega, ma che invece sono accomunati da un unico scopo: dare una famiglia ad un neonato. Se nei film precedenti il regista giapponese, Hirokazu Kore’eda, raccontava storie di vita nelle case di Tokyo, con il suo ultimo film, presentato quest’anno in anteprima al Festival di Cannes, ad accogliere lo spettatore è una storia del tutto coreana. Insomma, cambia il paese, ma non la mano del regista, intima e famigliare, che lo rende inconfondibile nel suo genere. Come in altre sue opere (Nobody Knows, Un affare di famiglia, Father and son), il regista si interroga sul vero senso della famiglia, se davvero oltre al sangue ci sia qualcosa di più che lega genitori e figli. In un mondo dove sembra ci debba essere un nucleo famigliare ben stabilito, composto da madri e padri, gli orfani non sembrano trovare un posto, come il piccolo Woo-sung, il centro del racconto di questo film. Per lui, la giovane madre e i due broker, cercano illegalmente un nido famigliare dove possa crescere serenamente, non curanti del fatto che la famiglia perfetta per il bambino sia proprio la loro, quella che instaurano in questo viaggio. E proprio come il neonato, lo spettatore, viene coccolato con scene di vita comune, dalle cene in famiglia, ai viaggi in furgone, ai giochi ai baracconi locali. Un mondo sereno, visto con gli occhi di un bambino appena nato, che sembra lontano dal peso incessante della vita.
Questo aspetto primario nei film di Kore’eda si lega e fa eco ai racconti animati del grande regista Hayaho Miyazaki, volto noto nella casa d’animazione Studio Ghibli, che riesce sempre ad inserire temi complessi e difficili tra le note dolci dei suoi disegni. Al contrario, Kore’eda mette lo spettatore di fronte alla realtà dei fatti, che scorrono sempre più velocemente, come pioggia incessante nelle bufere estive: il mondo iniziale di giochi e divertimenti sparisce lasciando spazio al mondo reale degli adulti, ai loro peccati ed insicurezze. Questa dolce-amarezza del racconto è un leitmotiv del regista, che non manca mai di marcare nei suoi racconti. Grande il racconto del regista, come grande è l’interpretazione degli attori, volti già noti nel cinema moderno coreano come Song Kang-Ho, che oltre ad essere stato uno dei protagonisti del film Parasite, vince con questo film il prestigioso Prix d’intérpretation masculin al Festival di Cannes di quest’anno, ma anche volti giovani, che si aprono appena al grande schermo, come la cantante Lee Ji-eun, in arte IU. Attori, quindi, di diverse generazioni, ma che sanno cogliere il senso del racconto, rendendo giustizia alla sceneggiatura di Kore’eda, creando un film emozionante dalle note dolci amare.
Alice Zoja