Nel cuore di Torino, presso il Monte di Pietà, si trova il Banco dei pegni, ultimo rifugio possibile per chi si trova in gravi difficoltà economiche. Qui si incrociano le vite di una serie di personaggi, che dipingono il quadro di un’umanità sofferente e soffocata ‒ potremmo dire una classe sociale ‒ pronta a disfarsi delle sue “ultime cose” per sopravvivere: dalla transessuale che torna in città al nonno che vuole aiutare il nipotino, dalla madre di famiglia in difficoltà al nuovo giovane perito del Banco. È questo il nerbo attorno a cui ruota Le ultime cose, primo lungometraggio di finzione della documentarista Irene Dionisio (classe 1986), presentato in concorso alla Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno.
Nel raccontare una vicenda delicata quanto poco conosciuta, la regista sceglie una tonalità dimessa e asciutta, che fa della discrezione il suo punto di forza. Più attento agli effetti della sofferenza che alle sue cause, l’elegante stile documentaristico della regia mantiene infatti un significativo riserbo nei confronti dei personaggi, che solo a tratti si stempera nell’emozione.
Non dissimile da una certa direzione propria del cinema contemporaneo nostrano (Garrone, Segre, Alice Rorhwacher e Laura Bispuri), Le ultime cose racconta una piccola storia che si fa, al tempo stesso, manifesto di un’Italia recente, contemporaneamente locale e multietnica, tradizionale e “nuova”, vero e proprio laboratorio di riconoscimenti. Da qui, poi, emerge evidentemente una tacita condanna di un sistema, come quello dei pegni ‒ o del neoliberalismo in generale? ‒ che se da un lato radicalizza inevitabilmente la forbice tra ricchi e poveri (gli oggetti non restituiti verranno infatti messi all’asta), dall’altro favorisce indirettamente un giro di criminalità spicciola che vive attorno al Banco e che finirà così per ghermire uno dei personaggi.
Le ultime cose è un film che getta luce con garbo su un mondo sotterraneo, eppure a noi molto vicino. Nonostante qualche piccola ingenuità nella scrittura e nella caratterizzazione dei personaggi, la cura per i dettagli con cui la vicenda è raccontata ci permette di penetrare in quegli aspetti del contemporaneo che spesso scorrono al di sotto del nostro orizzonte visivo. Resistendo al fascino del finale risolto, il film interroga così da vicino la possibilità di un futuro diverso, ancora da realizzare.
di Giulio Piatti