E’ possibile costruire un software che abbia la complessità della mente umana? Nell’universo di Lei, ultimo film di Spike Jonze, premiato agli Oscar e ai Golden Globe, sembra proprio di sì. Theodore, uomo solo e prossimo al divorzio, decide di comprare un sistema operativo vocale. Dopo avergli dato una voce femminile, se ne innamora.
Prendendo spunto da un classico tema fantascientifico, il film ribalta le coordinate del genere: in primo luogo non ci mostra un avvenire ipertecnologico, ma un futuro prossimo, naturale sviluppo dell’oggi. L’estetica, imperniata sul colore rosso, non è dissimile da quella che troveremmo in un’odierna rivista di design, con in più un implicito omaggio agli anni ’60, che passa dai pantaloni a vita alta al sapore decisamente vintage degli oggetti tecnologici.
Il discorso impostato da Jonze è molto sottile: sarebbe stato semplice denunciare moralisticamente l’iper-tecnologizzazione del presente. Lei percorre invece una strada opposta: focalizzandosi sul protagonista – un dimesso Joaquin Phoenix – si concentra al contempo sull’instancabile bisogno umano di relazioni. Partendo dalla fantascienza si giunge così ad un’umanissima riflessione antropologica. Theodor si innamora della voce di Samantha – Scarlett Johansson, doppiata da Micaela Ramazzotti – e, in quel momento, non c’è alcuna distinzione tra natura e artificio. Si tratta di un’emozione pura, non razionale: ecco perché Jonze non giudica i comportamenti di Theodore, ma anzi li comprende profondamente.
Dall’altro lato, il film affronta il percorso più propriamente fantascientifico, Samantha si plasma inizialmente sul carattere di Theodore e cerca di fare quanta più esperienza possibile. Scopre la vita e da quel momento non potrà più farne a meno. Divora letteralmente la realtà. Si potrebbe dire che Samantha diviene umana, attraversa l’umanità e la consuma, fino a superarla. Lei riflette così sul confine tra umanità, pre-umanità e post-umanità: si presenterà inevitabilmente un momento in cui Theodore e Samantha saranno di nuovo lontanissimi: chi sarà allora in grado di raggiungere l’altro?
Il quesito di fondo di Jonze non rimane soltanto un elemento della sceneggiatura, ma si sposta incessantemente, come un veicolo invisibile, tra le differenti componenti della messa in scena. Se la colonna sonora, curata dagli Arcade Fire, si concentra principalmente su una musica elettronica minimale e soffusa, in linea con l’estetica vintage dell’intero film, la stessa Samantha compone e esegue brani al pianoforte: si tratta, in questo caso, di musica “fisica” o elettronica, naturale o artificiale?
Lei si situa in un perfetto equilibrio tra film romantico e riflessione fantascientifica, tra emozione e speculazione. L’amore viene dissezionato e insieme vissuto nella sua consistenza emotiva. Come per tutti i grandi film, non ci vengono offerte risposte univoche: le relazioni, sembra dirci Jonze, sono assolutamente individuali. Eppure, proprio a partire dall’assoluta singolarità della parabola di Theodore e Samantha si possono leggere, in controluce, tutte le fragilità dell’uomo contemporaneo, insieme al suo inestirpabile bisogno di amore.
Giulio Piatti