Con Loveless, Andrej Zvjagincev denuncia la sua appartenenza alla grande tradizione umanista russa che, da Dostojevskij a Florenskij, ricerca la verità dell’etica nella fratellanza, ben al di là dei principi, della ragione e delle istituzioni: è a partire da questo afflato che il regista denuncia allora un mondo nel quale l’empatia e i rapporti tra gli esseri umani sembrano essere venuti meno. Qui Zhenya e Boris, ormai separati in casa e con nuove vite all’orizzonte, stanno affrontando – carichi d’odio – le pratiche per il divorzio, per la vendita della casa e, soprattutto, per il futuro del sensibile dodicenne Alyosha, trattato alla stregua di una merce di scambio. Sarà allora la sua scomparsa da casa a scavare nelle pieghe del loro rapporto.
Loveless è un rigorosissimo (psico)dramma familiare con l’ambizione di parlare alla società per mezzo degli individui. Per certi versi vicino a Bergman e al suo – mai voyeuristico – incedere dentro le più dolorose contraddizioni dell’essere umano, il cinema di Zvjagincev tenta di ‘allentare’ il tempo: facendo un uso parco del montaggio e concentrandosi sugli spazi (spogli, ipertecnologici, freddi), il film si dilata ben al di là delle esigenze più strettamente narrative: in questa sospensione emergono allora i gesti dei protagonisti, i non detti, l’estrema significatività del quotidiano. Non si tratta in questo caso di formalismo, ma di una messa in scena perfettamente aderente al rigore morale del film, che penetra nell’intimità dei personaggi pur senza rinunciare a un giudizio feroce, a una condanna universale della crisi morale interna al mondo occidentale. Persino la ricerca del figlio, che potrebbe far transitare il dramma verso le tonalità del thriller, risulta qui depotenziato, diventando tetro sfondo in grado di sondare i comportamenti, spesso inconseguenti, dei due genitori: dove Zhenya pare rifiutare la maternità di un figlio non voluto – derivante da un atavico confronto/scontro con la madre –, Boris sembra commisurare ogni sua decisione a un lavoro grigio ma evidentemente remunerativo.
Loveless è insomma un film amaro, che lega a sé, come risulta dal (fin troppo) esplicito finale, dimensione individuale e politica, intimità disfunzionale del nucleo famigliare e crisi sociale, quasi a dirci che il microcosmo nel quale si consumano i drammi familiari riflette il macrocosmo di un’indifferenza sempre più generalizzata verso il prossimo. Pur in un’atmosfera quasi irrespirabile, il film semina però – come piccoli squarci nel cielo – gli indizi per un’alternativa.
di Giulio Piatti