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Marguerite – Xavier Giannoli

Marguerite_posterA metà film qualcuno dirà a Marguerite Dumont che la musica è fatta di sogni e lei risponderà con un “lo so”, carico di consapevolezza. E, in effetti, l’intera vita di Marguerite, ricca baronessa della Francia degli anni venti, amante della musica sopra ogni altra cosa, poggia su un mondo onirico e irreale, costruito (richiamando Viale del tramonto) con la complicità del fedele maggiordomo dalle velleità fotografiche, con cui la donna allestisce veri e propri set di celebri opere liriche, indossando con eguale disinvoltura piume di pavone ed elmi vichinghi.

Fa la sua prima apparizione nel film proprio con indosso una piuma di pavone, intenta a prepararsi davanti allo specchio per uno dei récitals privés che organizza per un non troppo ristretto circolo di amici, esibendosi di volta di volta in performance canore giudicate particolari, da chi è troppo educato per definirle palesemente stonate. Il regista decide di mostrarci questa scena in soggettiva, attraverso lo sguardo di un giornalista che, aggirandosi per casa, s’imbatte nella stanza/camerino della baronessa e rimane a sbirciarla dalla fessura della porta mentre la donna si sistema l’acconciatura. Questo episodio ci introduce così, già nei primi minuti, in quello che sarà il tema centrale del film: lo sguardo. Le giornate di Marguerite, infatti, passate a mettersi in posa e a sognare il palcoscenico teatrale, non sono altro che una continua ricerca di sguardi altrui (prevalentemente maschili), nel quale, solo rispecchiandosi, le sembra di trovare veramente se stessa. Il film è intessuto di figure che rimandano alla visione: dalla scultura in giardino raffigurante un occhio blu, agli insistiti dettagli del bulbo oculare scuro del maggiordomo mentre scatta le foto alla sua musa.

marguerite

C’è un unico sguardo, quello che Marguerite cerca con più forza e che varrebbe per tutti gli altri, che è pressoché assente per quasi tutto il film: quello del marito Georges, che è disposto ogni volta a recitare la commedia del “guasto all’auto” pur di non assistere agli spettacoli della moglie. Marguerite, avvolta dalla solitudine, lotta quotidianamente per attirare scampoli di attenzione da Georges, anche e soprattutto servendosi del canto (“E’ solo per te che canterò”), trovandosi però ripetutamente davanti ad un muro: il marito non solo fatica a capirla (“E’ diventata una specie di mostro”) ma le nasconde sistematicamente, come peraltro fa tutto il suo entourage, la verità sulla qualità del suo canto, contribuendo ad alimentare nella moglie quel castello sempre più alto d’illusioni, cementatosi negli anni. Lungo tutto il film si rimane quasi col fiato sospeso in attesa dell’occasione appropriata affinché finalmente i falsi silenzi divengano parole sincere, ma forse non è sempre giusto dichiarare la verità, come sostiene Marguerite stessa in una battuta del film. Ispirato a una storia vera, Marguerite è in definitiva la storia di una donna sola, violentata per anni dall’indifferenza e dai silenzi di un marito colpevolmente distratto.

Carolina Zimara

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