Nezouh, che in arabo significa spostamento di anime, acque e persone, scritto e diretto dalla regista siriana Soudade Kaadan, ha vinto il premio Lanterna Magica e il premio spettatori alla mostra del Cinema di Venezia, nonché il Premio Diritti Umani Amnesty International al Medfilm Festival.
È un film ricco di spunti di riflessione su grandi temi come la povertà, l’abbandono della terra natia verso un futuro che solo ad alcuni pare la scelta migliore o l’idea di chi abdica per paura e speranza, di chi lotta per il proprio status di cittadino e rifugge quello di rifugiato in terra straniera, ma anche l’emancipazione femminile, i legami familiari e, ancora, la vita che perdura e si muove nella sua essenza anche nei difficili tempi di una guerra civile, comunque sempre in direzione della luce.
Ambientato a Damasco durante la guerra civile, è la storia di una famiglia alle prese con la distruzione della guerra e con la volontà di continuare a combattere per la propria quotidiana incolumità, fino alla dissoluzione di ogni cosa. Nessuno muore in questo film, il vero fulcro di ogni riflessione è la casa, considerata come rifugio e forse proprio come simbolo della famiglia stessa, con ruoli ben definiti in cui l’uomo-padre è il vero capofamiglia e la donna-madre è l’angelo del focolare. Finché una bomba non colpisce proprio la casa abitata dalla famiglia: vengono distrutti i vetri del salotto, la maggior parte dei muri e gran parte del mobilio, oltre a crearsi un grande buco nel tetto.
Tutti gli squarci della casa verranno coperti da grandi lenzuola colorate a protezione dell’intimità, ma è proprio dalle accidentali aperture che la meraviglia della vita vedrà l’inizio di un nuovo sviluppo. Nonostante i dissidi familiari che comporta la scelta paterna di non abbandonare la casa, la famiglia resta, in un primo momento, ancora unita, ma è proprio dal buco nella stanza di Zeina che inizia una nuova storia d’amore e di amicizia. Un odierno Peter Pan siriano, Amer, si fa spazio nella scena e nel cuore della ragazza, fino alla decisione delle donne di scappare.
Il film è pieno di citazioni e riferimenti molto importanti, perché nel momento del vero pericolo sono le donne che escono dal loro isolamento e a rapidi, sebbene incerti, passi, si dirigono verso la ricerca dell’emancipazione. Sarà la notizia di un tunnel, da qualche parte a Damasco, che conduce fuori dalla città e quindi fuori dalla guerra a dare inizio alla fuga delle donne cariche all’inizio di pesanti bagagli, ma che si alleggeriranno, anche metaforicamente, durante il percorso nelle retrovie.
Il finale è dolce e inatteso. Un film di speranza ed emancipazione che attraverso un punto di vista così interiore permette la riscrittura di una storia, non quella della Siria, ma quella di una famiglia siriana.
Francesca Coccolo