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Noi due

Autore poliedrico, da sempre diviso tra cinema e televisione, Nir Bergman è un importante regista israeliano, il cui nome è indissolubilmente legato alla serie BeTipul,da lui scritta e poi ripresa con successo negli Stati Uniti e in Italia con il titolo In Treatment. Già vincitore di alcuni premi al festival di Berlino, al festival di Gerusalemme e a quello di Toronto, Bergman concentra la sua produzione cinematografica su una narrazione attenta e profonda dei rapporti familiari. Anche nella sua ultima regia, Noi due, che avrebbe dovuto partecipare in concorso al festival di Cannes 2020, se quest’ultimo non fosse stato annullato a causa della pandemia da Covid-19, il fulcro della trama è l’intensa relazione tra Aharon, ex grafico di talento, e il figlio autistico di vent’anni, Uri, con il quale vive. La loro esistenza è fatta di routine e di abitudini, di minestre con le stelline, di canzoni, di acquari e di film con Charlie Chaplin. Quando l’ex moglie Tamara decide di affidare il figlio ad un centro specializzato per autistici adulti e provare così a farlo aprire al mondo, Aharon inizia una lunga fuga per non dividersi da Uri.

Bergman descrive con delicatezza e realismo la difficoltà di un genitore abituato ad occuparsi di tutto nel separarsi da un figlio che ha cresciuto con enorme amore e devozione, fino al punto di rinunciare alla propria promettente carriera. La sceneggiatura di Dana Isidis, basata sulla propria esperienza di sorella di una persona autistica, dona al film un tono intimo e non retorico, che si distacca dalla ormai ampia filmografia dedicata al tema dell’autismo, portandoci ad esplorare un punto di vista differente, che ci pone di fronte agli stessi interrogativi di Aharon. Lui sa razionalmente quale sia la scelta migliore per il figlio e lo spettatore, parimenti, può anticipare lo svolgimento della trama, ma non è sul coup de théâtre che si basa Noi due, bensì sul viaggio interiore e personale, che diventa viaggio on the road del protagonista, per comprendere ed accettare che la vita, come la si conosce, può cambiare. Lo stesso titolo originale del film, Here We Are, che si può tradurre sia come “eccoci qui” sia come “siamo qui”, racconta bene quest’idea di punto di arrivo che è anche nuovo punto di partenza per Uri ma, soprattutto, per Aharon. Perché in fondo è proprio Uri a dimostrare una maggiore capacità di adattamento alle novità. Ed è per questo che tocca ad Aharon lasciar andare, per provare, finalmente, a ritrovare se stesso, magari ballando sulle note di Gloria di Umberto Tozzi.

Marco Mastino

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