Non è sogno di Giovanni Cioni nasce come progetto sociale, prima ancora di diventare film, all’interno del laboratorio Nuvole, iniziato a ottobre 2016 presso il carcere di Capanne (Perugia). Cioni propone una sfida ardua: un laboratorio di cinema realizzato a partire dai dialoghi fra Totò e Ninetto Davoli in Cosa sono le nuvole di Pasolini e alcuni frammenti de La Vita è sogno di Calderon de la Barca. Ad essa rispondono un gruppo di detenuti, che partecipano alla costruzione di monologhi sulle orme dei testi proposti per il laboratorio. I monologhi si tramutano presto da esercizi teorici a momenti aperti alle narrazioni personali: racconti di esperienze, pratiche di vita, percorsi difficili. La letteratura e il cinema sono la sponda dalla quale partire per narrare se stessi, ma anche il punto fisso al quale tornare. I testi sono una prospettiva irraggiungibile e al tempo stesso l’occasione per riflettere sulla propria vicenda personale, per fare di fatti privati un racconto pubblico. Prendono così vita una serie di narrazioni individuali, concrete e al tempo stesso astratte, filosofiche forse, in un continuo gioco tra esperienza personale e rimandi letterari. Cioni è presente, aperto alla relazione con uomini dal vissuto complesso, disponibile ad ascoltarli, ma anche a dirigerli, ruvidamente, in una prova di recitazione che è forse oltre le loro possibilità (anche se in alcuni momenti i monologhi sono pura poesia, pieni di inciampi, errori, ironia).
Dietro i detenuti c’è uno schermo verde, un green screen che è come una promessa di fuga: uno schermo neutro sul quale proiettare immagini e paesaggi, luoghi lontani dal carcere – spazio di costrizione. Questa fuga è offerta dal cinema come strumento che consente di viaggiare pur stando fermi, di dare forma alle fantasie, di esplorare l’inesplorabile. Questa via di fuga, che Cioni offre ai suoi protagonisti, è usata però con moderazione. La gran parte del tempo il green screen rimane verde, come uno spazio vuoto o una possibilità inespressa. Davanti ad esso si alternano invece senza interruzione i volti e le voci dei numerosi protagonisti che hanno preso parte al laboratorio. Di alcuni si segue la storia, di altri si ha solo una breve suggestione. Il carcere è così: trasferimenti, spostamenti e uscite, non consentono di programmare una stabilità di relazioni, né la continuità della partecipazione al laboratorio. Gli incontri e le testimonianze sono brevi, fatti del solo tempo presente, della sola durata di un monologo.
Il film è stato realizzato grazie al contributo dell’ATELIER Milano Film Network 2018, dove ha vinto il premio per la post produzione. Presentato in Anteprima internazionale al Festival di Locarno e in anteprima italiana al Festival dei popoli, ha vinto il premio come miglior documentario al 44° Laceno D’oro di Avellino.
Eleonora Mastropietro