Presentato al Festival di Venezia, Pasolini è l’ultima opera di Abel Ferrara, regista che da sempre attraversa il mondo del cinema con una coerenza ed un rigore nelle scelte esclusive ed impossibili da inquadrare.
Il regista americano sceglie questa volta di concentrarsi su quello che è forse il più grande intellettuale italiano del ventesimo secolo, Pier Paolo Pasolini. Invece di costruire un classico biopic, Ferrara decide di mostrare solo l’ultimo giorno di vita del poeta friulano: dal momento del risveglio accolto dall’amata mamma Susanna fino alla morte avvenuta al lido di Ostia, la notte tra il primo e il due novembre 1975, per mano di Pino Pelosi. Tra questi due momenti, osserviamo Pasolini intento a leggere il Corriere della Sera, occupato a ricevere l’attrice Laura Betti o a scrivere ad Eduardo De Filippo per il film – poi mai realizzato – Porno-Teo-Kolossal.
Questa struttura fatta di attimi ed istanti, inframmezzati peraltro da passaggi onirici (sequenze dell’ultimo romanzo Petrolio e del già citato film), testimonia la difficoltà di Ferrara nel raccontare la vita di Pasolini e la sua volontà di volerlo rappresentare nel modo più diretto e semplice possibile.
Oltre a ciò, Ferrara mischia le carte affidando a Riccardo Scamarcio la parte di Ninetto Davoli e proprio a quest’ultimo, quella di Eduardo De Filippo andando così a confondere i piani tra vissuto reale e vissuto fittizio.
Innanzitutto, si staglia la figura di Pier Paolo Pasolini con la sua grandezza culturale nell’intervista a Furio Colombo, accoppiata alla sua ingenua fragilità al cospetto di alcuni ragazzi di borgata. E questa duplicità, che ri-umanizza chi ormai letterariamente è stato “divinizzato”, trabocca ad ogni fotogramma grazie all’interpretazione di un Willem Dafoe straordinario nel suo indossare completamente i panni del poeta, regista, scrittore ed intellettuale friulano.
In fondo, Pasolini racconta poco ma fa vedere tanto, a volte – come spesso è capitato in alcuni film di Ferrara – troppo. E conferma la tendenza dell’ultimo cinema del regista, caratterizzato da opere in qualche modo “non-finite” (alla Michelangelo), a lavorare su film che pur concludendosi non trovano una vera fine ma risultano interrotti forse per la volontà del suo autore di poter lasciare in mano allo spettatore la scelta di proseguire o meno con una propria personale chiusura (si vedano soprattutto Il nostro Natale e Mary).
Pasolini è un film difficile, che divide e lascia numerosi dubbi stilistici, ma dall’innegabile potenza visiva ed emotiva.
Marco Mastino