Per mio figlio, film di Frédéric Mermoud presentato al festival di Locarno 2016, ispirato al romanzo Moka di Tatiana de Rosnay, racconta la tragica vicenda di Diane Kramer, prostrata dal dolore per la morte del figlio, investito da un’auto pirata. Annientata nella sua ragione di vivere, unico obiettivo della sua esistenza è quello di trovare il conducente di quella Mercedes color moka che gli ha portato via suo figlio; da qui inizia una disperata indagine personale che la donna ingaggerà per placare l’ossessione della perdita della persona più cara al mondo. Da Losanna, dopo un breve periodo trascorso in una clinica, si trasferisce frettolosamente a Evian, città nella quale sembra viva l’automobilista misterioso. Qui, affittata una stanza d’albergo con quei pochi soldi che ha racimolato e in compagnia di una pistola che non aspetta altro che d’essere usata, comincia a mettere in atto il suo piano d’azione per consumare la sua cieca vendetta. Ma quando riesce finalmente a scoprire a chi appartiene quella macchina, la furia devastatrice che la animava subisce un brusco e inaspettato scossone, che le farà a poco a poco comprendere l’insensatezza e l’inutilità della sua rabbia vendicatrice.
Il film sembra oscillare continuamente tra tonalità gialle e rosa; la tensione del thriller, benché piuttosto ridotta, si accompagna a un andamento decisamente più lento ed introspettivo, quasi a voler riprodurre le piccole e delicate onde del lago Lemano, che avvolge e custodisce l’intera vicenda. Frederic Mermoud si mostra in effetti decisamente più interessato a delineare la personalità di queste due donne, due madri, che si avvicinano e si mettono a nudo con sempre maggiore intensità. È proprio nel loro reciproco scoprirsi che il film trova il suo punto di forza: il loro reciproco scrutarsi per cercare di sapere di più l’una dell’altra percorre infatti due terzi della storia, delineando due caratteri complessi alla ricerca della profonda verità di ognuno. L’operazione narrativa però, benché accuratamente progettata, non sempre risulta riuscita, volendo proporre a tutti i costi una riconciliazione finale con la più inspiegabile delle tragedie. Il disvelamento finale infatti, nonostante l’impegno delle protagoniste, si rivela poco soddisfacente, sicuramente meno delle premesse.
di Enrico Zimara